Il presente articolo ha lo scopo di sfatare un mito relativo al tema Blockchain e sostenibilità ambientale. Si parla spesso di Bitcoin come criptovaluta inquinante o poco green, senza comprendere che l’aspetto legato alla sostenibilità riguarda le caratteristiche tecnologiche della blockchain e non la criptovaluta in sé.
L’errore più comune è quello di pensare che Bitcoin e Blockchain siano sinonimi. Per semplificare, Bitcoin è una rete blockchain decentralizzata che permette transazioni in valuta Bitcoin. Ethereum è un’altra blockchain molto famosa che, però, impiega la valuta Ether per le transazioni. Bitcoin e Ethereum sono due blockchain distinte e separate tra di loro, con scopi e funzionalità diversi. Il testo spiega i motivi per cui alcune blockchain siano effettivamente poco green, come altre stiano cercando di migliorare e perchè alcune di loro sono molto più sostenibili e green di qualsiasi altro network tradizionale.
Negli ultimi anni, il tema dello spreco energetico delle blockchain, come Bitcoin e Ethereum, è diventato molto popolare, sulla scia di quesiti quali ‘Quanta energia consuma Bitcoin?’ o ‘Come può Bitcoin diventare valuta di pagamento globale se serve così tanta energia per effettuare una transazione?’ o ancora ‘Vale la pena impiegare elettricità per il mining?’.
Si tratta di uno degli argomenti di discussione preferiti dai media di settore, soprattutto da coloro che tendono a screditare l’ecosistema Blockchain. Parliamo di ecosistema proprio perché Bitcoin rappresenta il precursore della tecnologia che sta alla base dell’esistenza delle criptovalute. Ad oggi, l’immaginario collettivo attribuisce a Bitcoin il concetto di valuta digitale. Tuttavia è importante capire che Bitcoin prima ancora di essere una criptovaluta, è una rete, il cosiddetto Web 3.0, meglio conosciuto con il nome Blockchain. Bitcoin è solo una delle migliaia di Blockchain esistenti. Ognuna di esse è programmata sulla base di un set di regole che stabiliscono se le transazioni sono valide e sono tutte dettate da un cosiddetto algoritmo di consenso.
La blockchain di Bitcoin ha subito forti critiche proprio per via del suo algoritmo di consenso Proof-of-Work (PoW), che prevede l’impiego di molta energia computazionale per svolgere l’attività di mining, ovvero la risoluzione di complesse operazioni matematiche per validare ogni singola transazione. Il termine mining deriva dall’inglese ‘to mine’ che significa ‘estrarre’, concetto che ricorda molto quello dei minatori che estraggono metalli preziosi dalle miniere. Ne deriva anche un immaginario collettivo che lega Bitcoin all’idea di una miniera in cui scavare per estrarre il cosiddetto “oro digitale”.
Gli individui che validano le transazioni su Bitcoin si chiamano miners, e quando la Blockchain era ancora poco utilizzata, era possibile impiegare il proprio pc per minare Bitcoin e ottenere in cambio del loro lavoro (da ciò deriva il significato di Proof-of-Work, vale a dire ‘prova di lavoro’) un premio in Bitcoin. Oggi, invece, esistono vere e proprie centrali elettriche dedicate al mining, chiamate mining farms, perché il volume delle transazioni e il valore dei premi sono troppo alti per riuscire a risolvere algoritmi complessi con un dispositivo personale. E’ necessario, infatti, investire risorse ingenti in hardware con potenza di calcolo molto elevata, software professionali e manutenzione costante, nonché avere accesso a fonti di energia elettrica molto vaste. Di conseguenza questo comporta enormi emissioni di biossido di carbonio.
Molti tentativi di valutare l’impatto ambientale di Bitcoin hanno prodotto risultati variabili, ma tutti più o meno concordi sull’idea che l’attività di mining di Bitcoin produrrebbe la stessa CO2 all’anno di una città intera molto popolosa o in alcuni casi di interi paesi, come l’Argentina o la Nigeria. D’altro canto, organizzazioni come l’OCSE ritengono che la blockchain, affiancata ad altre tecnologie come intelligenza artificiale, IoT e Smart Contract, sfrutti gli aspetti chiave della trasparenza, verificabilità dei dati, efficienza dei processi e automazione necessari per digitalizzare e smaterializzare operazioni che, ad oggi, hanno un impatto ambientale non indifferente. La tecnologia Blockchain funge quindi da driver di cambiamenti infrastrutturali necessari quali, ad esempio, la digitalizzazione delle operazioni, la riduzione di energia impiegata per fondere e stampare moneta e tutta la documentazione cartacea che gli istituti di credito consegnano a fornitori e clienti.
Spostando l’attenzione dalla blockchain di Bitcoin ad altre blockchain, come Cardano (ADA), Solana (SOL) e Polkadot (DOT), si entra in un ecosistema differente da Bitcoin e Ethereum, poiché la validazione delle transazioni avviene attraverso un algoritmo di consenso differente dal Proof-of-Work, chiamato Proof-of-Stake (PoS). Le blockchain che impiegano il PoS riducono in maniera drastica il consumo energetico perché non prevedono attività di mining come nel PoW, ma attività di staking. Questo significa che gli utenti della rete possono candidarsi come validatori, depositando una parte consistente del loro capitale convertito in criptovaluta sotto forma di garanzia o deposito cauzionale.
Tutte le volte che una transazione deve essere validata, la rete innesta un processo di selezione automatico dei validatori che tiene in considerazione un set di fattori per garantire che tale selezione non favorisca solo i validatori con le quote maggiori. Infatti, tra i vari requisiti vi sono anche la longevità dello staking (c.d. coin age, ovvero da quanto tempo è stato fatto il deposito) e un fattore di randomizzazione che si assicura di rendere tutti i validatori partecipi alle attività del network.
Quando una transazione viene convalidata correttamente (ad esempio, verificando le firme o il bilancio degli indirizzi di pagamento, per evitare che una stessa operazione venga duplicata), si ottiene anche in questo caso un premio. Il sistema disincentiva i validatori ad approvare transazioni fraudolente o invalide perché, in tal caso, rischierebbero di perdere il loro deposito. L’unico modo per poter aggirare i controlli del network e approvare transazioni fraudolente, sarebbe quello di possedere il 51% delle criptovalute in circolazione, un’ipotesi ad oggi irrealizzabile, in quanto in un simile contesto i costi sostenuti per ottenere la quota di maggioranza assoluta sarebbero ben più alti rispetto ai potenziali margini di profitto, poiché in corrispondenza di un simile attacco il mercato farebbe crollare il prezzo della criptovaluta acquistata e l’autore del tentato raggiro contrarrà quasi con certezza una perdita piuttosto che un guadagno.
L’ esempio chiave, che dimostra l’importanza e la prevalenza che l’algoritmo di consenso Proof-of Stake sta acquistando, è rappresentato dalla blockchain di Ethereum che, come visto in precedenza, impiega l’algoritmo Proof-of-Work, ma nel 2020 ha avviato una transizione al Proof-of-Stake, cui completamento è previsto nell’anno 2022. Coloro che mettono in staking un capitale sulla versione aggiornata chiamata Ethereum 2.0 partecipano al rischio attraverso il capitale depositato, e in cambio ricevono una porzione di tutte le commissioni (gas fee) applicate sulla transazione di ogni utente. Nel momento del passaggio a Proof-of-Stake, il consumo energetico crollerà in maniera drastica e renderà la rete Ethereum più green, scalabile e meno energivora. L’algoritmo di consenso PoS è senza dubbio il futuro delle criptovalute e può creare un ecosistema crittografico più sostenibile, scalabile ed equo. Grazie alle sue potenzialità e ai vantaggi che comporta, il PoS si sta imponendo come metodo di consenso preferenziale, mettendo in luce le carenze del PoW.
In conclusione, quando si parla di Bitcoin ha senso porre attenzione sul suo impatto ambientale negativo. Tuttavia ad oggi, è anche chiaro che Bitcoin risulta essere una blockchain tutt’altro che efficiente e scalabile, quindi con ogni probabilità non sarà mai impiegata come rete su cui costruire applicazioni reali o eseguire transazioni su scala globale, considerando anche che allo stato dell’arte, nonostante il suo l’aggiornamento tecnologico molto recente chiamato Taproot, prevede costi e velocità di transazione poco competitivi rispetto ad altre blockchain esistenti. C’è, quindi, un fattore di latenza importante per cui il network decentralizzato di Bitcoin non è adattabile all’enorme dimensione del sistema finanziario globale. In ultima istanza, è opportuno notare che Bitcoin è sempre stato considerato dai suoi utenti un investimento di lungo termine o bene rifugio (come ad esempio l’oro) più che un mezzo di pagamento. Al contrario Ethereum, Blockchain n°2 al mondo, nata con lo scopo di diffondere a livello globale l’utilizzo di applicazioni basate su un network decentralizzato, sta migrando verso il Proof-of-Stake per uscire da una situazione di scarsa scalabilità.
In virtù dell’analisi condotta fino ad ora, possiamo finalmente rispondere con chiarezza alla domanda ‘Bitcoin è sostenibile?’ No e il rischio che diventi un mezzo di pagamento globale è altamente improbabile. La tecnologia Blockchain, al suo livello di maturità odierno, è sostenibile? Si, le blockchain basate su un algoritmo di consenso PoS sono sostenibili.