Quasi ogni anno dal 1995, i leader mondiali si incontrano per discutere la risposta globale alla crisi climatica in un incontro noto come Conference of the Parties (COP). I partecipanti sono i 197 paesi che hanno firmato la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), ovvero l’organismo delle Nazioni Unite per il clima. Con l’accordo di Parigi, perfezionato durante COP21, i paesi hanno concordato di limitare, quanto possibile, il riscaldamento globale a 2°C (idealmente 1,5°C) per frenare il deterioramento del clima. Ogni Stato è tenuto a presentare dei dettagliati piani d’azione, denominati Nationally Determined Contribution (NDC), attraverso i quali definire una strategia per limitare le emissioni, e presentarli al resto dei membri [1].
Mentre il mondo sperimenta temperature record e condizioni meteorologiche estreme che spingono il pianeta pericolosamente vicino alla catastrofe climatica, la necessità di un’azione urgente alla COP26 non è mai stata così chiara. Circa 120 leader si sono riuniti lunedì 1 Novembre a Glasgow, lanciando due settimane di negoziati globali per valutare se l’umanità sia in grado di mobilitarsi contro estremi cambiamenti climatici futuri. All’ordine del giorno ci sono gli impegni per consegnare il carbone alla storia, incrementare la produzione di auto elettriche, ridurre la deforestazione e fornire finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo.
Il presidente della COP26, Alok Sharma, ha introdotto la conferenza invitando i membri a un’azione immediata e solidarietà per assicurare che Glasgow mantenga la promessa di Parigi: “La scienza è chiara: la finestra di tempo che abbiamo per mantenere l’obiettivo di 1,5℃ e per evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico si sta chiudendo velocemente. Ma con la volontà politica e l’impegno, possiamo e dobbiamo ottenere un risultato a Glasgow di cui il mondo possa essere orgoglioso” [2].
Piano 100 miliardi
Dodici anni fa, al vertice sul clima delle Nazioni Unite a Copenaghen, i membri delle Nazioni più ricche hanno promesso di erogare 100 miliardi di dollari all’anno per le nazioni più povere e in via di sviluppo entro il 2020, per aiutarle ad adattarsi al cambiamento climatico e mitigare ulteriori aumenti di temperatura [3]. Tuttavia, questa promessa non è stata mantenuta e le cifre stabilite per il 2020 non sono mai arrivate. La frustrazione per questo fallimento ha contribuito ad aumentare le tensioni in vista dei negoziati di quest anno. A Ottobre Saleemul Huq, direttore del Centro internazionale per il cambiamento climatico e lo sviluppo di Dhaka, aveva accusato i membri della COP di essere “incapaci di soddisfare i loro obblighi” [4]. Inoltre, aggiunge, rispetto all’investimento necessario per evitare livelli pericolosi di cambiamento climatico, l’impegno di 100 miliardi di dollari è minuscolo. Trilioni di dollari saranno, invece, necessari ogni anno per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi del 2015 per limitare il riscaldamento globale a “ben al di sotto” di 2 °C, se non 1,5 °C, sopra le temperature pre-industriali. Le nazioni in via di sviluppo (come sono chiamate nell’impegno di Copenhagen) avranno bisogno di centinaia di miliardi di dollari all’anno per adattarsi al riscaldamento che è già inevitabile. I negoziatori non si sono mai accordati su come misurare precisamente gli impegni dei paesi. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), riporta che le nazioni ricche hanno contribuito con 80 miliardi di dollari in finanziamenti per il clima ai paesi in via di sviluppo nel 2019, in aumento rispetto ai 78 miliardi di dollari del 2018 [5]. La maggior parte di questo denaro proveniva da sovvenzioni o prestiti pubblici, trasferiti direttamente da un paese all’altro, o attraverso i fondi delle banche multilaterali di sviluppo (MDB).
Le cifre non sono aumentate molto nel 2020: un rapporto di Giugno 2021 delle MDBs indica che i finanziamenti per il clima, forniti ai paesi in via di sviluppo, sono diminuiti lo scorso anno. “Non è un grande segno”, dice Joe Thwaites, specializzato in finanza climatica al World Resources Institute (WRI) di Washington DC. Egli sottolinea anche che i finanziamenti internazionali per il clima sono probabilmente in stallo anche a causa della pandemia COVID-19. Tuttavia, in un rapporto del 2020, l’organizzazione benefica di aiuto internazionale Oxfam ha stimato il finanziamento pubblico per il clima a soli 19 -22,5 miliardi di dollari nel 2017-18, circa un terzo della stima dell’OCSE [6]. Oxfam sostiene che, oltre alle sovvenzioni, dovrebbe essere contato solo il beneficio maturato dai prestiti a tassi inferiori al mercato, non l’intero valore dei prestiti. Afferma anche che alcuni paesi contano erroneamente gli aiuti allo sviluppo come se fossero destinati ai progetti sul clima. Il Giappone, per esempio, tratta l’intero valore di alcuni progetti di aiuto come “rilevanti per il clima” anche quando non hanno come obiettivo esclusivo l’azione per esso, dice Tracy Carty, un consulente politico senior sui cambiamenti climatici di Oxfam.
Una raffica di impegni, presi poco prima della riunione di Glasgow, fa comunque sperare che, entro il 2022, le nazioni ricche riusciranno a trasferire 100 miliardi di dollari all’anno. Infatti, l’apertura della COP26 ha visto anche diversi nuovi annunci finanziari per progredire nell’azione sui 100 miliardi di dollari e affrontare il finanziamento dell’adattamento: il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha annunciato un pacchetto di finanziamenti, come parte della Clean Green Initiative del Regno Unito, per sostenere la diffusione di infrastrutture sostenibili e tecnologie verdi rivoluzionarie nei paesi in via di sviluppo. Questo include [7]:
- un pacchetto di garanzie alla Banca Mondiale e Banca Africana di Sviluppo per fornire 2,2 miliardi di sterline (rispettivamente 3 miliardi di dollari) per investimenti in progetti legati al clima in tutta l’Africa e in India, sostenendo l’obiettivo di quest’ultima di raggiungere 450 GW di capacità installata di energia rinnovabile entro il 2030.
- L’Istituzione finanziaria per lo sviluppo del Regno Unito (CDC) si impegnerà a fornire più di 3 miliardi di sterline di finanziamenti climatici per la crescita verde nei prossimi cinque anni. Questo includerà l’investimento di 200 milioni di sterline in una nuova Climate Innovation Facility per sostenere lo sviluppo di tecnologie che aiuteranno le comunità ad affrontare gli impatti del cambiamento climatico. Ciò è il doppio della quantità di finanziamenti per il clima che CDC ha investito nel suo precedente periodo di strategia dal 2017-2021.
- Il Private Infrastructure Development Group (PIDG), sostenuto dalla FCDO, impegnerà anche più di 210 milioni di sterline in nuovi investimenti oggi (MON) per sostenere progetti verdi di trasformazione in paesi in via di sviluppo come Vietnam, Burkina Faso, Pakistan, Nepal e Ciad.
Questi finanziamenti sono stati fortemente richiesti da Narendra Modi, primo ministro Indiano. Dopo aver annunciato che l’India avrebbe raggiunto emissioni nette zero entro il 2070 [8] e che, prima del 2030, metà dell’elettricità del paese sarebbe stata rinnovabile, si è acceso un dibattito sull’impegno degli accordi di Parigi. L’IPCC, l’organismo dell’ONU che raccoglie le opinioni scientifiche sul cambiamento climatico, afferma che le emissioni globali devono raggiungere lo zero netto intorno al 2050 perché sia, anche solo lontanamente possibile, contenere il riscaldamento a non più di 1,5°C. Tuttavia, i funzionari indiani ritengono ingiusto aspettarsi che il paese, fortemente dipendente dal carbone, raggiunga l’obiettivo del 2050, dato che la sua economia è ancora in via di sviluppo. Allo stesso modo anche l’obiettivo del 2070 richiederà grandi quantità di investimenti: Modi ha, quindi, chiuso il suo discorso con la richiesta ai paesi sviluppati di fornire, “il più presto possibile”, 1 trilione di dollari a quelli in via di sviluppo.
I Green Bond e la Global Energy Alliance
Janet Yellen, il segretario al Tesoro, ha detto mercoledì scorso che gli Stati Uniti sosterranno un meccanismo di finanziamento da 500 milioni di dollari all’anno per aiutare i paesi in via di sviluppo nella transizione ecologica [9]. Parlando ai colloqui sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow, la Yellen ha riconosciuto che mentre i paesi ricchi hanno promesso miliardi di dollari per affrontare il cambiamento climatico, il costo reale è, invece, in trilioni. “Sono d’accordo che tutti dobbiamo fare di più, e gli Stati Uniti si stanno facendo avanti”, ha detto la Yellen. Ma, ha aggiunto, “il divario tra ciò che i governi hanno e ciò di cui il mondo ha bisogno è grande, e il settore privato ha bisogno di giocare un ruolo maggiore”. Il programma di finanziamento, descritto dal Segretario del Tesoro americano, è progettato per emettere obbligazioni e utilizzare i proventi per sostenere l’energia pulita e le infrastrutture sostenibili nelle economie in via di sviluppo. Le obbligazioni saranno emesse dal Climate Investment Funds, un fondo multilaterale con sede presso la Banca Mondiale che investe il denaro fornito da paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna e Giappone.
Anche Mark Carney, l’ex governatore della Banca d’Inghilterra, ha dichiarato che i fondi privati ai paesi in via di sviluppo devono aumentare drasticamente. La scorsa settimana, Carney ha guidato un’iniziativa dei gruppi finanziari per impegnarsi a utilizzare i loro 130.000 miliardi di dollari di attività per aiutare i paesi a raggiungere i loro obiettivi di emissioni nette zero entro il 2050 [10].
Per quanto riguarda l’Italia, Roberto Cingolani, ministro della transizione ecologica, ha annunciato la costituzione della Global Energy Alliance, un fondo multilaterale da circa 10 miliardi di euro. L’obiettivo è accelerare la transizione ecologica e creare più green jobs nei paesi partecipanti [11]. Il Bel Paese ha contribuito alla creazione di questo fondo, il quale ha come guida la Rockefeller Foundation e altre fondazioni come Ikea e Amazon. Queste importanti iniziative sono probabilmente una conseguenza del calo nel Climate Change Performance Index (CCPI). L’Italia è, infatti, scesa al trentesimo posto, principalmente a causa degli obiettivi per il 2030. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevede infatti una riduzione delle emissioni del 51% entro 10 anni. La soglia rimane ancora più bassa rispetto all’obiettivo del 55% dell’Unione Europea.
Novità sui combustibili fossili
Durante la seconda settimana della COP26, 23 paesi hanno promesso di fermare i nuovi progetti di energia a carbone e di eliminare gradualmente quelli esistenti. Tra di essi vi sono cinque dei primi 20 paesi che usano questo combustibile fossile: Corea del Sud, Indonesia, Vietnam, Polonia e Ucraina. Il piano richiede un’azione più urgente da parte dei paesi ad alto reddito, i quali dovranno eliminare gradualmente il carbone entro il 2030, mentre quelli a basso reddito hanno tempo fino al 2040. Purtroppo ci sono degli aspetti negativi. In primo luogo, le tempistiche proposte sono troppo a ridosso dei limiti di accettazione: l’Agenzia Internazionale dell’Energia stima che queste date devono essere non più tardi del 2030 e del 2040, se vogliamo limitare il riscaldamento a 1,5°C. In secondo luogo, la Polonia si è classificata come un paese a basso reddito, nonostante sia una delle 25 maggiori economie del mondo. E infine, la lista dei paesi non include i tre maggiori consumatori di carbone: Cina, India e Stati Uniti. Ciononostante, l’eliminazione graduale del carbone è una buona notizia: esso è, senza dubbio, il combustibile fossile più inquinante, perché emette la maggior quantità di gas serra per unità di energia generata.
Una delle ragioni per cui è così difficile fermare le emissioni di gas serra è che quelle provenienti da un paese sono spesso sostenute, finanziariamente o in altro modo, da altri paesi. Quindi è anche una buona notizia che 20 governi hanno promesso di fermare i finanziamenti a supporto di petrolio, carbone e gas oltre i propri confini. La lista include Canada, Regno Unito e Stati Uniti. Tali impegni dovrebbero attuarsi entro la fine del 2022. Questi paesi sono ancora in grado di finanziare progetti sui combustibili fossili nel loro territorio. Anche se tale azione è, purtroppo, parziale, si inizierà gradualmente a demolire il finanziamento e le infrastrutture che sono alla base dell’estrazione dei combustibili fossili. Questo renderà più difficile l’estrazione e aumenterà il prezzo di mercato, mentre le energie rinnovabili diventeranno sempre più economiche. Purtroppo, nella bozza finale della COP26, il solo combustibile fossile menzionato è il carbone. Concentrandosi solo su di esso si rischia di creare una dinamica in cui i paesi poveri con infrastrutture a carbone vengono penalizzati, mentre i paesi ricchi con più gas fossile nel loro mix energetico vengono premiati.
L’impegno riguardo il taglio delle emissioni ha subito un’importante modifica poco prima dell’emissione del documento finale: un emendamento dell’ultimo minuto da parte dell’India ha modificato coal phase out con phase down. Questo implica che si impegnerà solo per una mera riduzione delle emissioni di carbone, al contrario di quanto previsto per tutti gli altri Paesi contenuti nel documento.
Nuovi accordi sulla riforestazione
Più di 100 leader mondiali si sono impegnati a porre fine alla deforestazione entro il 2030. Tra i paesi ricchi di biodiversità e foreste che hanno firmato vi sono Brasile, Canada e Russia. Circa l’85% delle foreste del mondo saranno coperte dall’accordo. In cambio i paesi riceveranno 19 miliardi di dollari di finanziamenti da fonti pubbliche e private . Si pensa che la deforestazione sia responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra. L’annuncio è stato ampiamente celebrato, anche se diversi osservatori sono stati cauti, avvertendo che simili impegni in passato non sono riusciti a rallentarla. La dichiarazione di New York sulle foreste del 2014 ha visto molti degli stessi paesi impegnarsi a ridurre la deforestazione tropicale del 50% entro il 2020: tuttavia, nel 2019, una revisione dell’iniziativa ha rilevato che l’obiettivo del 2020 era probabilmente impossibile. Secondo l’Università del Maryland, circa 12,2 milioni di ettari di foresta tropicale sono stati persi l’anno scorso, un aumento del 12% rispetto al 2019, . Le foreste giocano un ruolo cruciale nell’assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera: durante gli anni 2000 si stima che le foreste tropicali abbiano assorbito carbonio equivalente a circa un quarto delle emissioni di anidride carbonica generate dall’attività umana. È pertanto essenziale mantenere intatto il più possibile il patrimonio verde per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.
Tutti gli impegni enunciati durante la COP26, combinati con le promesse preesistenti, hanno messo il mondo sulla buona strada per ridurre le stime sul riscaldamento globale a 1,9°C. Sarebbe un’inversione di tendenza sorprendente, dato che prima del vertice la previsione più ottimistica indicava i 2,7°C. Tuttavia, è fondamentale ricordare che, per raggiungere questo obiettivo, tutte le promesse dovranno essere mantenute. Questo panorama è stato confermato la settimana scorsa da Fatih Birol, direttore generale dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, il quale ha twittato: “La nuova analisi di IEA mostra che il pieno raggiungimento di tutti gli impegni netti a zero fino ad oggi e il Global Methane Pledge da parte di coloro che lo hanno firmato limiterebbe il riscaldamento globale a 1,8 C” [12]. L’analisi non è stata ancora resa pubblica, ma sembra probabile che si basi su simili presupposti ottimistici.
Nel frattempo, le effettive emissioni di gas serra nel mondo stanno continuando. L’ultimo rapporto annuale Global Carbon Budget conclude che le emissioni di anidride carbonica sono quasi tornate ai loro livelli pre-pandemici. Gli esseri umani hanno emesso il 5,4 per cento in meno di CO2 durante il 2020, a causa della pandemia di covid-19, ma le emissioni di quest’anno sono state più grandi del 4,9 per cento. Le minori emissioni nel 2020, come gli scienziati del clima hanno sempre previsto, sono state un calo temporaneo. Tuttavia, il fatto stesso che sia possibile assumere una visione leggermente ottimistica degli impegni, ed entrare nell’intervallo 1,5-2°C, è un notevole progresso. Non molti anni fa, stavamo seriamente contemplando aumenti di temperatura di 4°C o addirittura 6°C come possibilità reali. Non siamo affatto fuori pericolo, ma il quadro è cambiato notevolmente negli ultimi 10 anni.
[2] https://www.infobuildenergia.it/cop26-accordo-di-parigi-emissioni-clima/
[3] https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/clima-quei-cento-miliardi-che-possono-fare-la-differenza
[4] https://www.ciwem.org/the-environment/saleemul-huq-interview-climate-cop26
[6] https://www.oxfam.org/es/node/12400
[7] https://metro.co.uk/2021/11/01/boris-johnson-announces-clean-green-initiative-at-cop26-15522582/
[9] https://www.nytimes.com/2021/11/03/world/yellen-green-bonds-climate-change.html
[11] https://www.ilsole24ore.com/radiocor/nRC_02.11.2021_17.08_49610496