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Un’opportunità di grande rilievo poco sfruttata: il F.O.I.A.

Breve inquadramento giuridico

Grazie al decreto legislativo delegato n. 97/2016 si è introdotto anche nel nostro ordinamento – mutuandolo di fatto dal modello statunitense – un fondamentale strumento a disposizione di chiunque: il c.d. FOIA. Questo acronimo significa letteralmente “Freedom of Information Act”, e ha lo scopo di realizzare il diritto/potere – posto in capo alla generalità dei consociati – di ottenere qualsiasi dato a disposizione della Pubblica Amministrazione (fatti salvi quelli espressamente esclusi) attraverso un semplice accesso civico esercitabile in forma individuale e fruibile uti cives, ovverosia nell’interesse dell’intera collettività1.

Quindi, per dirla in altri termini “tutto alla più completa disponibilità di tutti”. Così facendo, si viene a creare il tanto desiderato effetto “trasparenza totale”, mediante la presentazione di istanze da parte dai cittadini, senza la necessità di motivazioni, ovvero di particolari legittimazioni, con un unico obiettivo: controllare in maniera generalizzata e diffusa l’agire delle Amministrazioni e finanche partecipare alle scelte di pubblico interesse. Pur operando questa scelta lungimirante e audace (la creazione dell’accesso civico propriamente detto, il FOIA, per l’appunto), il sopracitato decreto ha scelto di mantenere in vita le altre due tipologie di accesso già previste dall’ordinamento: quello documentale (nato grazie alla legge 241/1990, uno dei capisaldi normativi della branca amministrativa), che permette di soddisfare un interesse individuale e qualificato alla conoscenza di informazioni in possesso delle Amministrazioni, e quello civico “semplice” (D.lgs. 33/2013), creato per consentire l’esercizio di una verifica generalizzata su attività, disposizione e utilizzazione delle risorse pubbliche.

L’accesso civico generalizzato (o FOIA) è stato fortemente voluto dalla l. 124/2015 (meglio conosciuta come Legge Madia), con il precipuo scopo di realizzare finalmente, in maniera davvero compiuta, il diritto all’informazione amministrativa, che sino a quel momento era sconosciuto e inesistente nel Paese2.

È stato ammesso quindi nell’ordinamento giuridico il diritto ad essere edotti, e a poter ricercare informazioni utili e di notevole importanza, congegnato ab origine come una situazione giuridica soggettiva, che consente al cittadino di vagliare l’agire della P.A., di prendere parte attivamente al dibattito pubblico, e infine, di dotarsi di dati che sono davvero di suo interesse, e che desidera apprendere.

Bisogna sottolineare che i limiti posti all’esercizio del poc’anzi citato diritto siano più stringenti rispetto a quelli previsti per l’obbligo di pubblicazione online (in formato open data) di informazioni di pubblica rilevanza (c.d. “amministrazione trasparente”) posto in capo alle Amministrazioni, ed il necessario bilanciamento tra interessi confliggenti e contrapposti, dovrà per forza di cose essere operato volta per volta (test del danno). Si può ben comprendere come questa normativa (inserita in una più ampia e organica riforma del sistema amministrativo, c.d. Madia) abbia costituito per il nostro sistema giuridico una novità davvero straordinaria, specie per la mentalità tipica che ha da sempre connotato le Amministrazioni, proprio perché si sarebbe voluto creare un milieu in cui chiunque (in particolar modo coloro che dell’informazione ne fanno il loro lavoro, e cioè i giornalisti) potesse contribuire al processo decisionale e allo sviluppo delle istituzioni pubbliche, al fine di rendere tutto sempre più chiaro, rapido e efficiente.

Tuttavia, come spesso accade, ciò che si vuole e si spera differisce, e non di poco da quello che poi si viene a concretizzare effettivamente, anche perché molti non hanno ancora compreso come approvare una o più leggi sic et simpliciter, non significhi realizzare una riforma. A questo scopo infatti, si dovrebbe creare una cabina di regia, ma anche permettere il tempo necessario al sistema burocratico di prepararsi al cambiamento, monitorandone successivamente l’attuazione, la performance e i risultati che questa è in grado di produrre, evidenziandone poi i punti problematici su cui andare ad intervenire.

Il FOIA all’atto pratico: un successo o un fallimento?

È giunto per cui il momento di capire quali conseguenze effettive abbia prodotto il sistema FOIA in Italia a circa 4 anni dal suo avvento (annunciando sin da subito come di fatto questo strumento sia stato utilizzato davvero pochissimo).

E per fare questo, sembra appropriato servirsi dei dati e delle considerazioni contenute in un report denominato “FOIA4journalist”.

Una delle principali criticità ivi segnalate concerne “la mancanza di un corretto bilanciamento tra la protezione dei dati personali e la tutela dell’interesse pubblico, evidenziando come, nella prassi, la PA che riceve istanze FOIA tenda (…) a inoltrarle ai controinteressati senza ripulirle preventivamente dai dati personali del richiedente, con il conseguente rischio di ripercussioni negative sull’attività di inchiesta realizzata dal giornalista/attivista3.

Inoltre, si individua un’altra situazione spinosa di non poco conto, la difficoltà con cui la P.A. comunica e si interfaccia con i cittadini.

Una delle principali cause di ciò è certamente da imputarsi all’arci-noto ritardo digitale che la affligge, e che è ancora ben lontano dall’essere definitivamente superato e risolto. La questione si è ancor più aggravata durante il recente lockdown, in quanto la scarsità e la poca efficacia e funzionalità degli strumenti da remoto a disposizione della P.A., ha reso il rapporto cittadino/amministrazione un vero e proprio ircocervo, provocando un netto e repentino peggioramento delle condizioni di trasparenza del settore pubblico, anche (e soprattutto) in considerazione del fatto che il “c.d. decreto Cura Italia” ha sospeso alcuni procedimenti amministrativi (tranne quelli indifferibili e urgenti), tra cui l’accesso a dati e informazioni di dominio delle Amministrazioni.
Specie in relazione al settore sanitario, si possono notare evidenti spinosità, in particolar modo nei confronti delle Regioni. Ad esse sono state presentate, infatti, molteplici istanze per ottenere i dati dettagliati e disaggregati sul numero di tamponi effettuati, ma purtroppo, nella quasi totalità dei casi non si ha avuto alcun tipo di risposta, e la sospensione temporanea del FOIA altro non ha fatto che peggiorare ancor di più la circostanza. Ha arrecato vulnus non indifferenti al fondamentale principio di trasparenza tanto caro a F. Turati, che con una metafora molto evocativa, auspicava un’Amministrazione a immagine e somiglianza di una “casa di vetro”.

Per quello che invece riguarda l’analisi dei dati statistici contenuti nel report, risulta come nel 2019 le richieste inviate siano state 64, di cui 37 nell’ambito del progetto FOIA4journalist e 27 nell’ambito dell’iniziativa ALAC-Allerta Anticorruzione.

L’oggetto di queste riguardava bandi di concorso, conflitti di interesse, specifici atti amministrativi, e finanche gare d’appalto.

Nella quasi totalità dei casi, le Amministrazioni coinvolte hanno dimostrato di essere pienamente adempienti circa le tempistiche previste dalla legge, la quale fissa il termine per fornire una risposta in 30 giorni. Ma quello che può essere più significativo ha a che fare con la percentuale di accoglimento ovvero di rigetto; infatti, nel 65,6% dei casi l’istanza è stata accolta (42), 5 richieste sono state parzialmente accolte (7,8%), 4 sono hanno ottenuto un diniego (6%), mentre 1 sola è stata trasferita ad un’altra Amministrazione (1,6%).

Alcune osservazioni conclusive 

Queste evidenze statistiche dimostrano in maniera più che lapalissiana come purtroppo in concreto il FOIA non abbia trovato il riscontro che ci si aspettava, e che uno strumento di tale portata e importanza avrebbe del tutto meritato, stante la sua funzione (di controllo diffuso e generalizzato) tutt’altro che di poco conto o secondaria.
Se questo è evidente e assodato, bisogna indagare le ragioni e i motivi più profondi che non hanno permesso un’ampia diffusione del FOIA4: in primo luogo, la scarsa capacità di comunicazione alla collettività della possibilità di avvalersi di questa nuova species di accesso non ha permesso che vi si ricorresse frequentemente (appena qualche migliaio di richieste nei primi 2 anni); ma non solo, può aver certamente contribuito a disorientare il quivis de populo il fatto che siano state mantenute in vita anche le altre due modalità di accesso (documentale e civico) in combinato disposto con l’andamento ondivago della giurisprudenza amministrativa.

Altre motivazioni sono da ricercarsi nella macchinosità e nella lentezza di buona parte delle pratiche burocratiche, appesantite da una mentalità e da una visione culturale dell’Amministrazione ancora troppo legata al passato, quando questa si poneva in maniera autoritaria e verticistica, mettendo di fatto in soggezione il cittadino.
Alla luce di tutto ciò, non appare possibile improntare il dialogo su un rapporto di pari ordinazione (orizzontale) ove la P.A. interagisce direttamente e in maniera “informale” – ma precisa e diretta con il cittadino – permettendo al FOIA di esprimere appieno la sua fresca ventata rivoluzionaria.

Perciò, sono molteplici e di diversa natura e portata, le cause che non hanno permesso all’accesso civico generalizzato di diffondersi capillarmente, ma tutte da ricercarsi in problemi che affliggono storicamente l’Amministrazione, e che ancor oggi, purtroppo, sono sotto gli occhi di chiunque.

Articolo a cura di Federico Muzzati


Bibliografia:
1. Cfr. G.M. LEOTTA, “Accesso civico generalizzato (FOIA, Freedom of Information Act): cos’è e come funziona in Italia”, in agendadigitale.eu, 11 novembre 2020.
2. Cfr. G. GARDINI, “Le regole dell’informazione. L’era della post-verità”, IV edizione, G. Giappichelli Editore, 2017, Torino.
3. A. ALÙ, “Il FOIA resta diritto astratto in Italia: ecco perché”, in agendadigitale.eu, 23 ottobre 2020.
4. Cfr. A. NISI, “Cos’è il FOIA e perché in Italia non ha funzionato”, in Agi.it, 14 marzo 2019.

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