Nel dicembre 2018, l’arresto di Wanzhou Meng, direttrice finanziaria e figlia del leggendario fondatore di Huawei, è stato per molti uno Sputnik Moment, espressione utilizzata ancora oggi per riferirsi al momento in cui “è necessario prendere atto della propria arretratezza su una certa questione
La guerra commerciale è dunque solo la punta dell’iceberg di una partita onnicomprensiva, dove a farla da padrone è la dimensione tech. Dal 5G all’intelligenza artificiale, dal quantum computing ai cavi sottomarini in fibra ottica: la titolarità geopolitica di questo secolo si giocherà in gran misura nella dimensione esoterica quanto tangibile della Rete.
Il primato tecnologico Usa e l’affronto cinese
Godere del primato tecnologico è condizione necessaria, ma non sufficiente, per essere la prima potenza mondiale. In parole più semplici: essere un Paese avanzato tecnologicamente non implica che tu riesca a dominare il mondo, ma se domini il mondo allora sarai certamente all’avanguardia tecnologica. Tuttavia, occorre non scadere nel mito del tecnologismo, incline a trascurare i vincoli di potere, spazio e tempo. La tecnologia è fondamentale, ma “ogni dimensione tecnologica contiene uno sviluppo fisico che non può essere eliminato”, come precisato
Gli Stati Uniti sono stati i genitori di Internet, del GPS, del microprocessore alla base dei nostri telefoni, dei social network su cui passiamo le nostre giornate, nonché supremi controllori dei cavi sottomarini oceanici sui quali viaggia il 99% dei dati scambiati in Rete. Le grandi aziende della Silicon Valley non sono figlie del mondo, come retoricamente amano vendersi al grande pubblico, bensì restano profondamente americane, quindi soggette alla volontà ed ai capricci di Washington. L’intelligence statunitense si serve di esse per spiare il mondo intero, sicura di “poter conoscere i cittadini stranieri meglio dei loro governanti, dunque di anticipare tendenze politiche e reazioni a impulsi specifici”. Certi di “poter controllare da remoto quanto avviene nel pianeta
Questo strapotere a stelle e strisce viene oggi insidiato dalla Cina, che ambisce a ridurre il gap tecnologico attraverso ambiziosi piani, come Made in China 2025, finalizzato a rendere l’Impero del Centro autosufficiente in settori chiave come i semiconduttori, la robotica, l’IT e l’aerospazio. Affronto inaccettabile agli occhi di Washington, che sta reagendo violentemente per impedire che ciò si realizzi.
La tecnologia serve alla Cina per evitare una nuova “umiliazione”
I cinesi sono caratterizzati da una spiccata memoria storica e non dimenticano facilmente. In ragione di ciò, hanno appreso una lezione fondamentale dal cosiddetto “secolo dell’umiliazione” (indicativamente compreso tra il 1839 ed il 1949): il ritardo tecnologico si paga a caro prezzo. In quell’occasione, tra la fine della dinastia Ming e l’inizio dell’era Qing, la scienza e la tecnica cinesi rimasero drammaticamente indietro rispetto a ciò che stava avvenendo nei Paesi europei e nel vicino Giappone. Tale ritardo costò alla Cina due Guerre dell’Oppio, i Trattati ineguali, la rivolta dei Taiping, la sconfitta nella guerra sino-francese e nella prima guerra sino-giapponese, la rivolta dei Boxer, l’invasione giapponese della Manciuria e la seconda guerra sino-giapponese.
Pechino intende quindi far leva sui suoi punti di forza per diventare leader indiscussa delle nuove tecnologie emergenti, sottraendosi al giogo americano e iniziando a dettare, almeno in parte, delle regole dello scontro. Il vantaggio cinese si deve a tre fattori: 1) le aziende godono di un sostegno statale impareggiabile; 2) oggi la Cina è il più grande bacino di utenti internet del mondo, è l’Arabia Saudita dei dati; 3) la società cinese non si pone scrupoli etici nello sviluppare tecnologie nuove e rivoluzionarie, elemento cruciale per ridurre il tempo che intercorre tra una scoperta e la sua implementazione.
La reazione americana non si è fatta attendere
Gli spaventosi progressi cinesi nell’intelligenza artificiale e nel 5G hanno allarmato i laboratori strategici americani, preoccupati di perdere la leadership tecnologica del pianeta. Affinché il lettore abbia chiara la portata della reazione statunitense, elencheremo alcune tappe cruciali.
Il caso Zte, in primis, evidenzia plasticamente la crescente compenetrazione tra diritto, economia e geopolitica, che configura uno scontro tra opposti capitalismi politici. Il colosso cinese delle telecomunicazioni viene infatti accusato nel 2016 di violare le sanzioni americane verso l’Iran e la Corea del Nord. L’anno successivo la società cinese viene multata e le vengono imposte numerose prescrizioni da parte del Governo americano. Nel 2018 avviene il colpo di scena: il mancato rispetto delle suddette prescrizioni induce il Dipartimento del Commercio a vietare a Zte l’acquisto di prodotti da fornitori americani per sette anni. Zte a maggio 2018 dichiara quindi il sostanziale fallimento e la cessazione delle attività. Solo un intervento di Trump, su richiesta di Xi Jinping, alleggerirà le condizioni e permetterà alla società cinese di tornare a respirare. Previo commissariamento americano, ovviamente.
Il dossier Huawei è invece quello più noto e scottante, in quanto interessa una tecnologia chiave come il 5G e tocca noi europei (italiani in primis) da vicino. La rete di quinta generazione sarà il sistema nervoso centrale delle nostre economie e società, quindi la posta in gioco per il suo controllo è elevatissima. Prima è stata arrestata la direttrice finanziaria, poi numerosi Paesi hanno messo al bando Huawei o circoscritto la sua presenza nelle Reti, mentre altri sono in procinto di prendere una decisione in merito. Qui l’economicismo si scontra con le esigenze strategiche: i servizi 5G di Huawei costano meno della concorrenza e sono di buona fattura. Ma sono cinesi e scatenano le ire degli Stati Uniti, colpevoli di aver sottovalutato l’importanza della tecnologia 5G e di non aver saputo sviluppare un’alternativa seria e credibile. Pechino ha, inoltre, sfruttato l’emergenza coronavirus per testare
Nel 2019, invece, Google, su pressione governativa, ha tolto la licenza Android a Huawei, mentre è notizia
Pubblico e privato, anche nella liberale America, si saldano per contrapporsi al nemico asiatico.
Un mondo tecnologico bipolare?
Eric Schmidt, già CEO di Google, ha preannunciato per il 2028 una Rete divisa in due, una parte a guida americana e l’altra a trazione cinese
Il Financial Times, alla ricerca di una parola che potesse descrivere il 2019, ha fatto una scelta
Infine, si è arrivati anche a discutere di inconciliabilità delle rispettive culture: la direttrice della pianificazione politica presso il dipartimento di Stato Usa, Kiron Skinner, ha parlato di scontro di civiltà tra Cina e Stati Uniti, richiamandosi maldestramente al politologo Samuel Huntington. Il già citato Brad Smith ha infine affermato che, presa una fotografia di una tigre nella giungla, l’americano tenderà a focalizzarsi sulla tigre e su ciò che essa può fare, mentre il cinese si concentrerà sulla giungla e su come l’ambiente possa influenzare ogni aspetto della vita della tigre. Antropologia più che economia o tecnologia.
I vagoni si stanno dunque sganciando. Speriamo solo non deraglino.
1 https://www.ilpost.it/2017/10/04/sputnik/
2 https://www.washingtonpost.com/opinions/its-not-a-trade-war-with-china-its-a-tech-war/2018/12/14/ec20468e-ffc5-11e8-862a-b6a6f3ce8199_story.html
3 https://www.limesonline.com/cartaceo/la-consolante-favola-del-primato-tecnologico-e-della-connettivita?prv=true
4 https://www.limesonline.com/cartaceo/limpero-informatico-americano-alla-prova-cinese
5 https://asia.nikkei.com/Spotlight/5G-networks/Coronavirus-helps-China-pull-ahead-in-the-5G-race
6 https://www.wsj.com/articles/trump-and-chip-makers-including-intel-seek-semiconductor-self-sufficiency-11589103002?mod=hp_lead_pos6
7 https://www.washingtonpost.com/technology/2018/09/21/former-google-chief-predicts-internet-will-split-by-chinese-web-an-american-one/
8 https://www.ft.com/content/42aa2664-1c12-11ea-9186-7348c2f183af