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Partecipazione e rappresentanza di interessi nella fase emergenziale

A partire dallo scorso febbraio, l’emergenza da coronavirus, che ha investito il nostro Paese (e progressivamente tutto il globo), ha apportato una serie di cambiamenti nella società, nella sfera personale, professionale, nonché in quella istituzionale. Abbiamo assistito alla desertificazione delle aule parlamentari in rispetto delle disposizioni volte alla prevenzione sanitaria, ad una produzione normativa quantitativamente inattesa e al (definitivo?) passaggio alla social-democrazia1.

Questo contesto inaspettato ha fatto emergere diverse problematiche rispetto alle quali l’Italia (e si sapeva) deve recuperare – dal digitale alla sanità, passando per il completamento della riforma del Titolo V della Costituzione in termini di competenze legislative, fino alla partecipazione democratica al processo di policy making. Su quest’ultimo punto, in particolare, vi è un tema dibattuto, quasi esclusivamente tra addetti ai lavori: l’accesso all’attività normativo-legislativa da parte dei cosiddetti “stakeholders” (portatori di interesse) privati.

Quanto è accaduto in queste settimane con i provvedimenti normativi sul contenimento del Covid-19 è un esempio emblematico dell’impatto che la regolazione ha sul business delle aziende2, determinandone la -giusta- chiusura per motivi sanitari. La politica si è trovata a  svolgere un ruolo più complicato del solito, con l’onere di dover assumere decisioni altamente impattanti sulla vita dei cittadini; parallelamente, si è cercato di mantenere un clima di unità nazionale, evitando annunci propagandistici3. In questo contesto, il rapporto tra i diversi attori del mondo politico è apparso modificato e rinnovato, richiedendo un approccio olistico4 e capacità di (re)agire in breve tempo. Ma quanto sono stati coinvolti gli attori privati nelle decisioni prese? 

Qualcuno potrebbe chiedersi “perché un’impresa dovrebbe prendere parte al processo decisionale pubblico?”: questo dubbio offre la possibilità di approfondire un’attività che, tutt’oggi, nella nostra Repubblica Democratica è avvolta da un alone negativo: il lobbying.

Gruppi di interesse e lobbying

Il sistema sociale è composto da un insieme di individui singoli o aggregati in varie forme: sindacati, partiti politici, associazioni di categoria o più semplicemente gruppi. Sia in sociologia che in scienza politica la nozione di gruppo può avere diverse declinazioni ma solo due saranno oggetto di interesse di questo articolo: gruppo di interesse e gruppo di pressione. “Un qualsiasi gruppo che sulla base di uno o più atteggiamenti condivisi presenta delle domande ad altri gruppi della società è definibile come portatore di un interesse” (D. Truman)5; “Non c’è gruppo senza interessi, un interesse è equivalente di un gruppo, non sono separabili” (A. Bentley)6. Ogni gruppo è un insieme di individui accomunati da una medesima istanza, uno stesso interesse. Questo però non li rende automaticamente anche un gruppo di pressione. Infatti, “un gruppo di pressione è sempre un gruppo d’interesse, ma un gruppo d’interesse non sempre diviene un gruppo di pressione”7. La differenziazione è possibile ponendo l’accento sul termine “pressione” utile ad individuare il fine dell’azione del gruppo stesso: non si tratta solo di rappresentare un interesse, ma di portarlo (o meno) all’attenzione del decisore pubblico con lo scopo di influenzarne le scelte nel processo decisionale. Il termine “influenzare” può apparire fuorviante, in quanto assume erroneamente una connotazione negativa non appartenente all’attività dei professionisti della rappresentanza di interessi -di fronte al decisore pubblico-, ossia i lobbisti. Quest’ultimi, svolgono il proprio mestiere con l’intenzione non di far prendere decisioni secondo i propri dettami, ma di proporre, a chi è legittimamente e democraticamente deputato ad assumerle (parlamentari, ministri, vertici delle autorità, ecc), una chiave di lettura del contesto in cui il decisore vuole muoversi, avvalorata spesso -e sempre più- da dati, studi e ricerche.

L’attività di “lobbying” nel nostro ordinamento non ha ancora trovato una regolamentazione esaustiva, nonostante le numerose norme presenti a più livelli (dal regolamento della Camera dei Deputati alle Leggi Regionali, oltre ai decreti e le circolari ministeriali, per un totale di circa 400) e i numerosi tentativi di uniformarle (dal 76 ad oggi sono state depositate decine di progetti di leggi)8. Il fondamento della legittimità di tale attività è rinvenibile in alcuni principi fondamentali della Costituzione e in due interventi della Corte Costituzionale che, nel 1974, intervenne sul tema dello sciopero politico: quest’ultimo era previsto all’interno del codice penale (Codice Rocco scritto negli anni ’30), ossia era considerato reato l’azione avente lo scopo  di fare pressione sull’autorità pubblica attraverso lo strumento dello sciopero, permettendone l’utilizzo solo contro il proprio datore di lavoro9. Le sentenze 1/1974 e 290/1974 chiariscono la posizione della Corte Costituzionale: lo sciopero politico non solo non è reato, anzi, la Costituzione del 1948 riconosce in capo a ciascun cittadino singolo o in associazione di partecipare “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”10 con un particolare riferimento ai principi fondamentali espressi dagli artt. 3, 2, 18, 21 Cost.

«I lobbisti sono quelle persone che per farmi comprendere un problema impiegano dieci minuti e mi lasciano sulla scrivania cinque fogli di carta. Per spiegarmi lo stesso problema i miei collaboratori impiegano tre giorni e decine di pagine»
– John Fitzgerald Kennedy

Il processo decisionale nell’emergenza Covid-19 e le ripercussioni sull’attività di lobbying

La situazione emergenziale ha determinato un’attività normativa insolita attraverso lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il cd DPCM, che per sua natura è un atto amministrativo regolatorio di portata generale, pertanto non prevede la partecipazione dei soggetti interessati durante la sua redazione11.

Dal giorno in cui il Ministro della Salute Roberto Speranza ha emanato la prima ordinanza volta a fronteggiare l’emergenza, la produzione normativa ha comportato: 8 decreti leggi, 11 DPCM, 17 Decreti Ministeriali, 29 Ordinanze, 2 Direttive, 3 Protocolli e 20 Circolari (dati al 28 aprile)12. Il tempo e le modalità di propagazione del virus non sono stati omogenei, investendo prima alcune regioni e poi altre, determinando una moltitudine di interventi normativi a più livelli, non sempre coordinati tra loro. In un contesto in continua e repentina evoluzione, i rappresentanti di interessi (sempre più comunicatori secondo qualche professionista del settore13) hanno dovuto adattare le strategie da loro programmate, conformandosi ad una modalità sempre più di instant-lobbying: una forma di partecipazione al processo di policy making basata sulla capacità di analisi e adattamento in breve tempo, dati la ridotta operatività delle Camere, cui è seguita la modifica dei lavori parlamentari, e l’espletamento dell’intervento normativo ad opera del potere esecutivo14. Inoltre, dal momento in cui perdura l’impossibilità di svolgere riunioni fisiche e conseguentemente si riduce la possibilità di interazioni sociali, i dati appaiono ancor più centrali di prima. Sono questi che valorizzano la qualità del lavoro e le competenze dei lobbisti di fronte ai propri interlocutori, andando a sopperire alla mancanza di interazioni sociali – di relazioni, anch’esse parte fondante di questo mestiere, da cui tra l’altro l’espressione “relazioni istituzionali – determinate dall’emergenza sanitaria. 

Riflessioni conclusive

Il campo delle relazioni istituzionali nel nostro paese è ancora visto dai più con diffidenza: si è da sempre confuso il faccendiere con il professionista, elaborando previsioni normative, soprattutto con riguardo all’art. 646bis del codice penale sul traffico di influenze illecite, che rischiano di confondere l’attività di rappresentanza di interessi con reati. L’emergenza causata dal Covid-19 ha posto una lente su questo settore, rimettendo “al centro del villaggio15 un tema importante: le competenze dei professionisti del settore, oggi più che mai, risultano essere fondamentali sia per affermare la propria figura sia per stringere nuovi rapporti, con un intreccio sempre più stretto tra capacità comunicative e di analisi regolatoria. Il lobbista di oggi deve saper comprendere il contesto politico non solo attraverso i classici strumenti del monitoraggio normativo e della stampa, ma anche attraverso gli strumenti del marketing e degli analytics dei social. A riguardo, un recente paper della società di consulenza Cattaneo&Zanetto fa emergere quanto i social, attraverso lo studio delle reti, siano fondamentali per mappare ed individuare interessi e influencer/opinion makers (intesi come attori capaci di influenzare i decisori pubblici grazie alla propria rilevanza mediatica).

Come uscirà questo settore dall’emergenza? Tornerà indietro? Probabilmente no. Sicuramente risulterà sempre più difficile non parlare di digital lobbying16 – con la dovuta differenziazione con l’advocacy (di cui magari si tratterà in un successivo articolo). Ma per andare avanti credo ci siano due aspetti da tenere d’occhio con estrema attenzione e su cui poter lavorare: da una parte l’incremento dei corsi universitari e dei master volti ad approfondire le teorie, le tecniche e gli strumenti del lobbying, risultato del crescente interesse da parte degli studenti verso un settore ancora in crescita nel nostro Paese; dall’altra la necessità di costruire un contesto normativo in cui gli attuali e i futuri lobbisti possano operare, incentivati ad agire nel rispetto di democrazia, legalità e trasparenza. Tale necessità trova riscontro nei tre disegni di legge depositati presso la Camera dei Deputati, attualmente in corso di discussione.

Non è detto che la regolamentazione normativa sia l’unica via possibile, si può sempre considerare “l’opzione 0”17, ossia il non intervento volto a favorire l’autoregolazione. Ma in questo caso ancor di più, il ruolo dei professionisti del public affairs è fondamentale per individuare diritti e doveri di coloro che vogliono operare in questo settore.


1  La nuova Italia digitale tra socialcrazia e coscienza nazionale, Riccardo Pilat, datamagazine.it
2  Norme su norme e incertezza. Quanto è difficile fare lobbying durante la quarantena, Giampiero Zurlo, Linkiesta.it
3  Covid-19, ecco le parole d’ordine per affrontare la crisi, Giusi Gallotto, Formiche.net
4 Ibidem
5  The governmental process, David Bicknell Truman, 1971
6 The process of government, Arthur Fisher Bentley, 1955
7  Gruppi di interesse e di pressione, Domenico Fisichella, Enciclopedia delle scienze sociali (1994) Treccani
8  Teorie e tecniche del lobbying, Pier Luigi Petrillo, il Mulino
9 Ibidem
10  Art. 3, c.2, Costituzione della Repubblica Italiana
11 Manuale di diritto amministrativo, Marcello Clarich, il Mulino
Per una lettura breve: I rischi di una confusione semantica ai tempi dell’emergenza Coronavirus tra Decreti legge, ordinanze, DPCM e Circolari, Michele Pappone, iusinitinere.it
12  Il Lobbying al tempo del Coronavirus, Fabio Bistoncini, fanpage.it
13  Intervento di Filippo Maria Grasso durante il webinar “Attività di Lobbying e Democrazia: Profili normativi, aspetti critici e prospettive di riforma” organizzato da CSB, Centro Studi Borgogna
14  Per approfondire: webinar “Tecnologia e funzionamento delle istituzioni nella stagione dell’emergenza” organizzato da MediaLAWS
15  “On a remis l’église au milieu du village”, detto francese usato per spiegare come le cose si siano messe a posto e nella loro giusta posizione, tradotto “Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio”. È stato utilizzato, tra gli altri, dall’allenatore Rudi Garcia della AS Roma in una nota intervista nella stagione 2013-2014
16   Covid-19, ecco le parole d’ordine per affrontare la crisi, Giusi Gallotto, Formiche.net
17   Teorie e tecniche del lobbying, Pier Luigi Petrillo, il Mulino

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