Sostenibilità

Sviluppo: è necessario uno stop perché sia sostenibile?

La tesi di Serge Latouche

Il tema decrescita appare per la prima volta nel 1979, in una raccolta di saggi dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegn, ma sarà poi con il nuovo Millennio – e tutti gli ostacoli eco-sostenibili che il suo avvento comporterà – che la decrescita assumerà le sembianze di una corrente di pensiero provvista di una collocazione ben precisa nel dibattito culturale e politico. 

È grazie a Serge Latouche che la decrescita assume la valenza di cui parlavamo. L’economista francese è spesso definito “il Marx della crescita”, dal quale in effetti riprende le tesi anticapitalistiche, accostandosi in generale alla filosofia economica avversa all’economia di mercato. 

Le critiche da cui nasce l’idea della decrescita si articolano su due livelli, sposandosi alla perfezione con le teorie di Marx, aggiornate però al nuovo ecologismo dei nostri tempi. La critica di ordine ambientale vede nell’ industrializzazione il responsabile delle conseguenze ambientali che minano la sopravvivenza della Terra stessa. Sul piano sociologico invece, il consumatore viene definito il nuovo soggetto sfruttato dei tempi moderni a causa della manipolazione adoperata dalla pubblicità commerciale, che mira ad una maggiore produzione, in risposta alle richieste sempre più pressanti del mercato, e che a sua volta genera i bisogni degli stessi individui che lo compongono. 

Ed è questo il punto di maggior attrito tra l’economia occidentale e il pensiero di Serge Latouche. Secondo quest’ultimo il paradigma capitalistico si è rivelato insostenibile a causa del terzo nemico riconosciuto dagli obiettori di crescita: la globalizzazione. È opinione diffusa infatti che il mondo sia regolato da una mega-macchina di sfruttamento e predazione del lavoro, della natura e dell’emisfero Sud del Pianeta, che ha sottomesso all’economia tutti gli ambiti della vita sociale.

L’economia d’altro canto è considerata da Serge Latouche e i suoi seguaci un gioco a somma zero, che non porta alcun tipo di risultato positivo in quanto persegue una crescita fine a sé stessa. In effetti al giorno d’oggi, sembra essere proprio questo l’obiettivo principale delle potenze mondiali, le quali misurano il proprio benessere sulla base di indicatori che riflettono l’ammontare di capitale in loro possesso, come il PIL.

Infatti, la maggiore critica degli obiettori di crescita sta nell’affermare che gli indicatori utilizzati da ciascuna nazione non riflettono il reale benessere di ognuna di esse. È qui che vediamo la contraddizione del capitalismo: il progresso e lo sviluppo economico della società capitalistica non coincidono con la sostenibilità che caratterizza una civiltà in cui l’economia non prevale sulla politica, sull’etica, sugli individui e le loro relazioni sociali. 

Per Latouche l’obiettivo è quindi quello di uscire dall’economia e dal capitalismo per costituire una società nella quale si vivrà meglio lavorando e consumando di meno

“Le otto erre”

Per riassumere le indicazioni che permetterebbero il superamento del sistema capitalistico, Latouche le compendia in una serie di parole chiave, le quali anche nella traduzione italiana conservano la peculiarità di iniziare tutte per “erre”: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare, ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare. 

In questo contesto dunque, la decrescita presenta diverse declinazioni. Innanzitutto, rappresenta una nuova economia che mira a rompere il paradigma liberista e fermare l’idea della crescita fine a sé stessa, in modo tale che le attività produttive rispettino i limiti ambientali attraverso una regolazione della produzione basata sull’autolimitazione dei bisogni. 

Ma la decrescita può essere intesa anche come una nuova visione politica. Nonostante Latouche non definisca in maniera precisa quale sia il preciso ruolo dello Stato, egli predica la necessità di un governo a base locale che permetta a tutti i cittadini di contribuire alle decisioni comuni.

Infine, aspetto importante della decrescita è anche la filosofia che vi si cela dietro, secondo cui il capitalismo avrebbe interrotto l’equilibrio fra la dimensione umana e quella naturale. La globalizzazione cui gli obiettori di crescita aspirano non riguarda le merci, bensì i valori di solidarietà, convivialità e partecipazione che si sviluppano in un contesto in cui il potere di influenza dell’economia sulle azioni e sulle scelte degli individui viene annullato, la cui vita dunque non sarebbe più dedita unicamente al lavoro e alla produzione. 

L’austerità e la frugalità imposte da Latouche non corrispondono al sacrificio richiesto dalle maggiori potenze mondiali – che in questo momento subiscono forti malumori – al fine di rilanciare il modello capitalista, bensì si tratta di una vera e propria inversione di marcia dove crescita, sviluppo e progresso non sono più le parole d’ordine della civiltà.

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