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NEL CONTESTO EUROPEO QUALE SPACE ECONOMY PER L’ITALIA? ANALISI DI UN’INDUSTRIA STRATEGICA

In Italia, i discorsi relativi allo spazio generalmente riguardano la Tesla Roadster lanciata da Elon Musk (SpaceX) in orbita intorno al Sole oppure il turismo spaziale promesso da Bezos (Blue Origin) e Richard Branson (Virgin Galactic). Non c’è da stupirsi perché si tratta della New Space Economy del XXI secolo, caratterizzata da una forte presenza di investitori privati, che, in sinergia con il settore pubblico, ambiscono a sfruttare parte delle ingenti risorse spaziali. Tuttavia, l’appiattimento su queste grandi azioni di personalità celebri ci restituisce l’idea dell’economia spaziale come di un qualcosa di distante, quindi apparentemente non alla portata di un Paese come l’Italia. Invece, lo Spazio è uno di quei settori tanto sottovalutati quanto importanti del tessuto economico italiano. Dovrebbe essere un imperativo valorizzare questo settore, non solo dal punto di vista economico, ma anche tecnologico e geopolitico.

PANORAMICA DELL’INDUSTRIA NAZIONALE

La Space Economy genera, ogni anno, un indotto di 370 miliardi di euro, che diventeranno 500 entro il 2030. Lo Spazio, infatti, ci appare come un qualcosa di esoterico, ma in realtà influenza la nostra vita di tutti i giorni: nell’agricoltura 4.0, nella tutela dell’ambiente, nella gestione delle emergenze, nella geo-localizzazione e nelle telecomunicazioni. L’Italia considera, giustamente,  l’economia dello spazio come uno dei propulsori della crescita economica: i dati infatti ci confermano che, per ogni euro speso, 11 ne vengono creati. Nel nostro Paese sono presenti circa 200 aziende che operano nel campo, di cui l’80% PMI, per un giro d’affari complessivo di 2 miliardi di euro annui. Purtroppo, spesso manca alle nostre latitudini una reale comprensione dello stato di avanzamento della nostra industria spaziale, che, tuttavia, rimane tra le più avanzate del mondo: al terzo posto in Europa e al settimo posto su scala planetaria. Il nostro è uno dei pochi paesi al mondo che può vantare l’intera filiera che porta allo spazio, poiché ha la capacità propria di sviluppare i satelliti, portarli in orbita e gestire tutti i servizi connessi, distinguendosi per qualità, precisione e innovazione. Accanto alle grandi imprese, un ruolo chiave nell’industria nazionale è svolto da una galassia di PMI, l’80% della filiera italiana, delle quali il 40% piccole e medie e il restante 60% micro-imprese (con un numero di addetti inferiore a 10 e un fatturato al di sotto dei due milioni di euro). Inoltre, nella catena del valore sono presenti interessanti start-up, di cui la maggior parte sono dedicate allo sfruttamento e all’utilizzo dei dati satellitari.

Il tessuto industriale sopra descritto si organizza in distretti tecnologici e in centri di competenza specifici. Guidati dal Cluster Tecnologico Nazionale Aerospazio – il CTNA – sono ben 12 in Italia i distretti regionali nell’aerospazio: il Cluster Lucano dell’Aerospazio (CLAS) in Basilicata; il Comitato Distretto Aerospaziale Piemonte; il Distretto Advanced Manufacturing 4.0 in Toscana; in Campania il Distretto Tecnologico Aerospaziale (DAC);  in Sardegna il DASS, Distretto Aerospaziale Sardegna; il Distretto Aerospazio in Abruzzo; il Cluster Tecnologico Aerospaziale dell’Emilia Romagna; l’Aerospace Cluster della Lombardia e quello dell’Umbria, il Distretto Tecnologico Ligure sui Sistemi Intelligenti Integrati; il Distretto Aerospaziale del Lazio presso Lazio Innova ed infine il DTA, il Distretto Tecnologico Aerospaziale della Puglia. 

I distretti spaziali funzionano sempre più come polo d’attrazione e da stimolo per aziende e start-up di settori non-space, ma con un interesse allo sviluppo e all‘utilizzo di servizi ed applicazioni abilitati dalle tecnologie spaziali. 

PANORAMA DELL’INDUSTRIA EUROPEA

L’industria europea dello Spazio dà lavoro a 230 mila persone, con ricavi di circa 60 miliardi di euro, volume d’affari secondo solo agli Stati Uniti. Di questi ricavi Il 70% deriva dalla fornitura di servizi, mentre il 30% dalla costruzione di lanciatori, satelliti e strutture a terra. Nel 2019, il budget europeo relativo allo Spazio era di 9.3 miliardi di euro, dei quali 7.8 miliardi provenienti dai budget nazionali e 1.5 miliardi dal budget dell’Unione. Per il periodo 2021-2027 sono, invece, previsti 14.8 miliardi per rafforzare la posizione dell’UE come leader del settore.

La catena del valore industriale europeo nello spazio (50 mila addetti) è inserita all’interno del più ampio settore Aerospazio e Difesa, caratterizzato dalla presenza di quattro grandi player (detti I Big four: Airbus, Thales, Leonardo e Safran) e alcune realtà di dimensione medio-grande (come Kongsberg, Dassault e RUAG), che, insieme, direttamente e indirettamente danno lavoro a più del 60% del totale degli impiegati

Un ruolo decisivo in termini sia di occupazione che di capacità industriali lo svolgono le già menzionate Big Four:

  • Il Gruppo Airbus, che con 14 mila impiegati diretti costituisce il più grande attore dell’industria spaziale europea;
  • Il Gruppo Thales si posiziona al secondo posto con 7 mila dipendenti diretti;
  • Il Gruppo Leonardo arriva invece a circa 4500 addetti;
  • Il Gruppo Safran si colloca al quarto posto con 3500 unità.

La distribuzione della produzione industriale spaziale europea è, però, molto disomogenea: solo sei paesi forniscono il 90% delle capacità del continente, e otto aziende il 65% di questo output. Il vantaggio dell’Italia in questo scenario è quello di coprire l’intera filiera spaziale, elemento che permette al sistema-Paese di dialogare con tutti i principali attori globali della space economy. Tuttavia, la Francia rimane il perno indiscusso della space economy continentale: Parigi, infatti, domina tutti i segmenti industriali dello spazio sia in termini di produzione industriale che di occupazione. La Francia intende altresì guidare la politica spaziale europea, intesa come strumento di influenza geopolitica da parte dell’élite transalpina. La Germania, d’altro canto, sta cercando di rispondere all’assertività transalpina con finanziamenti a società come OHB, Hylmpulse e Isar Technologies, volti a realizzare micro-lanciatori, mercato che acquisterà sempre maggiore importanza nei prossimi anni.

CONCLUSIONI
In sintesi, al fine di valorizzare l’industria italiana dello spazio, dialogando su (quasi) un piano di parità con attori come la Francia, l’Italia dovrebbe favorire la crescita dimensionale delle proprie imprese, incentivando sinergie e integrazioni tra le realtà esistenti e promuovendo l’internazionalizzazione delle stesse. Occorre altresì puntare fortemente sul lanciatore Vega, e sul derivato Vega E, evitando che la concorrenza dell’Ariane e, soprattutto, dei nuovi micro-lanciatori tedeschi vada a nostro sfavore. Con la Germania si potrebbe raggiungere un’intesa improntata alla realpolitik, finalizzata a contenere le ambizioni della Francia, che sin dal dopoguerra ha indirizzato la politica spaziale europea (non è un caso che il Commissario europeo responsabile dello spazio sia Thierry Breton). In conclusione, ricorriamo alla puntuale affermazione dell’ingegnere aerospaziale Marcello Spagnulo: “Per l’Italia quindi il punto non è solo sostenere i lanciatori Vega e Ariane, quanto elaborare una strategia in grado di far sopravvivere il proprio settore industriale da qui al 2030 e non diventare un mero Paese contributore netto. A meno che questa non sia già di per sé una strategia. Speriamo di no”.