Il rapporto fra dinamiche spaziali e dinamiche terrestri è bidirezionale. Infatti, da un lato è facile notare come la competizione politica e tecnologica in atto nel dominio spaziale abbia riflessi sulle nostre società, economie, ed anche sulla guerra, dall’altro lato è importante notare come le dinamiche politiche sul pianeta influiscano sullo spazio, favorendone, ad esempio, la militarizzazione. Il tema è quanto mai cruciale, soprattutto in seguito alla guerra in Ucraina, che ha visto il coinvolgimento massiccio di aziende private e di campioni del capitalismo privato statunitense. Per approfondire la tematica, estremamente delicata, è importante soffermarsi sull’intervista a Marcello Spagnulo, ingegnere aeronautico con carriera pluridecennale tra aziende private come Finmeccanica, Alenia Spazio e Arianespace e agenzie governative del calibro dell’Agenzia Spaziale italiana e la European Space Agency. L’ingegnere Spagnulo, che ringraziamo, ha gentilmente risposto alle nostre domande in tema di spazio, geopolitica spaziale e delle politiche necessarie per valorizzare gli assetti spaziali nazionali.
- La guerra in Ucraina è sicuramente ricca di temi da affrontare e sui quali riflettere. Uno fra questi è il ruolo degli attori privati nel conflitto. In particolare, Elon Musk ha messo la sua rete satellitare Starlink a disposizione dell’Ucraina. Quali benefici operativi ha fornito Musk alla resistenza ucraina?
Il ruolo delle imprese private nel conflitto ucraino ci conferma una cosa peraltro nota da sempre, e cioè che la geopolitica sia profondamente influenzata dagli affari che sono quasi sempre concausa dei conflitti, solo che ora l’attività imprenditoriale nell’esplicito contesto di guerra non passa per il tramite dei governi ma si manifesta in maniera autonoma e visibile. Per gli ucraini Starlink è un’ancora di salvezza per far circolare le informazioni sia civili che militari, per mantenere collegati gli ospedali, per collegare i droni che attaccano le forze di artiglieria, i carri armati e i centri di comando mobili dei russi. I terminali di Elon Musk sono stati distribuiti a scuole, vigili del fuoco e autorità municipali. Il ministro ucraino Mykhailo Fedorov ha recentemente dichiarato che “non sarebbe mai stato possibile ripristinare chilometri di collegamento via cavo tra i villaggi nelle regioni bombardate con la rapidità con cui Starlink lo ha fatto”. Quindi si può dire che la rete satellitare di Elon Musk sia diventata la “spina dorsale” dell’infrastruttura di comunicazione di Kyev.
- Il Dipartimento della Difesa Statunitense ha, non sorprendentemente, negato qualsiasi coinvolgimento del governo con l’iniziativa dell’imprenditore. Quanta Politica c’è dietro il “capitalismo privato” dei grandi campioni americani dello spazio?
Il tweet con cui Elon Musk annunciava che avrebbe inviato i suoi terminali in Ucraina è del 26 febbraio, due giorni dopo l’invasione russa, e curiosamente nello stesso momento il Pentagono, quasi a mettere le mani avanti, spediva un portavoce a una conferenza stampa per negare il coinvolgimento diretto dell’esercito statunitense nella spedizione dei terminali Starlink. Mi pare evidente che si tratti di un palese tentativo di mostrarsi “distanti” da un’iniziativa strategica mentre si è in realtà ben coinvolti, e non potrebbe essere diversamente proprio in termini pratici. La politica è sempre presente dietro il capitalismo privato dei nuovi imprenditori dello Spazio. Vorrei ricordare che agli esordi Elon Musk testava il suo razzo Falcon 1 dal sito militare “Ronald Reagan” di proprietà del Pentagono e adibito a difesa balistica, sull’atollo di Kwajalein, 4000 km a sud-ovest delle Hawaii. In pratica beneficiò dell’ospitalità e del supporto del Pentagono che aveva così l’opportunità di valutare se il Falcon avrebbe prodotto risultati interessanti. Oggi, lo USTRANSCOM, il comando dei trasporti militari del Pentagono, collabora con la SpaceX per studiare come impiegare le future Starship a fini di trasporto logistico di merci e, in futuro, di truppe. Evidentemente la valutazione è andata a buon fine.
- La NATO ha riconosciuto nel 2019 lo spazio come dominio operativo, estendendo la deterrenza dell’Articolo 5 anche a quest ultimo. Lo spazio ha già assistito a diverse operazioni aggressive, ma non necessariamente qualificabili come ostili, quali quelle del satellite Luch-Olymp o il test missilistico anti-satellite russo di novembre 2021. Quali caratteristiche deve avere una operazione ostile nello spazio per innescare la clausola di difesa collettiva?
Il tema è interessante, proprio alla luce di quanto sta avvenendo in Ucraina. Secondo le regole NATO se ci fosse un attacco deliberato a un assetto spaziale operato dalle forze armate di un paese dell’Alleanza, questo sarebbe considerato un atto per cui ricorrere all’articolo 5. Il caso che avete ricordato del Luch-Olymp fu infatti “ibrido” nel senso che lo stesso si era posizionato prima vicino a due satelliti commerciali, e non militari, statunitensi della società Intelsat e in seguito vicino all’Athena-Fidus che è operato congiuntamente da Italia e Francia e trasporta dei payload di comunicazione sia civili che militari. L’allora ministro della difesa di Parigi, Florence Parly, ne descrisse le operazioni più come spionaggio che sabotaggio, ma è indubbio che quell’evento sia stato un catalizzatore della decisione della NATO, anche perché fu un evento pubblicizzato, cioè reso noto a differenza dei molti attacchi hacker o jamming che vengono attuati e non sono resi noti. Non ritengo che una “operazione di prossimità” – questa si chiama in gergo tecnico – di quel tipo possa rendere applicabile l’Articolo 5 NATO, mentre è ovvio che, per esempio, un attacco cinetico ASAT alla costellazione dei satelliti GPS sarebbe oltremodo considerato un attacco diretto all’esercito americano. Ma tornando all’Ucraina siamo di fronte a un paradigma nuovo. Cosa accadrebbe se fossero messi fuori uso intenzionalmente i satelliti Starlink? Gli USA considererebbero questo come un attacco ad assetti governativi tale da provocare una reazione come quella prevista dall’articolo 5 della NATO? Però stiamo parlando di assetti commerciali operati e posseduti da una società privata che non ha alcuna partecipazione statale nel suo azionariato e che ha volontariamente e liberamente dichiarato il proprio appoggio a una delle parti in conflitto fornendogli mezzi e servizi. Forse gli USA farebbero valere il fatto che essendo i satelliti registrati e autorizzati dalla FCC, sarebbero da considerare assetti americani e quindi di interesse nazionale? Forse. Però si potrebbe obiettare a ciò ipotizzando un caso di studio teorico ma plausibile: ipotizziamo che una casa automobilistica privata decida di fornire i propri mezzi di trasporto – con targa del paese di provenienza – all’esercito di una delle parti in conflitto, e che l’altra parte li attacchi distruggendoli. Che tipo di status giuridico daremmo a questi mezzi? Il paragone può suonare un po’ forte ma in fondo gli Starlink operano in una maniera assai simile. Una risposta a oggi non c’è.
- Fra dominio spaziale e dominio cibernetico esiste un forte legame, come spesso riconosciuto anche dall’amministrazione statunitense che parla di “Joint Approach” fra U.S. Space Command e l’U.S. CYBERCOM. Nel contesto della crisi ucraina sono stati usati molteplici strumenti cibernetici. Quali ripercussioni si riflettono sul dominio spaziale?
Il dominio cyber è trasversale a praticamente tutti i moderni sistemi d’arma e ingloba il dominio operativo dell’Outer Space, questo è un fatto ormai assodato, e non è un caso che l’avvio del conflitto in Ucraina sia stato segnato proprio da un attacco cibernetico nello Spazio. Mentre i carri armati russi invadevano il territorio ucraino, un attacco cyber colpiva il satellite geostazionario KA-SAT della società statunitense Viasat mettendolo fuori uso. Per essere più precisi, l’attacco cyber inoculò un virus a bordo satellite che poi si trasmetteva a tutti i modem terrestri corrompendo il software di funzionamento. Americani, europei e inglesi hanno subito attribuito a Mosca la responsabilità dell’attacco ed Elon Musk ne ha approfittato per farsi avanti con la sua proposta di aiuto di cui abbiamo parlato prima. KA-SAT era in orbita dal 2010 sull’emisfero continentale europeo e copriva l’intero territorio dell’Ucraina, il governo di Kyev aveva affittato molti dei suoi canali di trasmissione e ha accusato il colpo subendo un’enorme perdita di capacità di comunicazione. Ma ciò che è meno noto è che l’attacco cibernetico ha causato danni in tutta Europa anche a imprese e persone che usavano il satellite KA-SAT. Anche SpaceX ha confermato di aver subìto ripetuti attacchi cyber contro i suoi Starlink, ma senza risultati. Questo è un punto importante, perché significa che il software della SpaceX è resiliente al punto che gli operatori a terra possono modificarne il codice in tempo reale per far fronte ad attacchi cyber. Questa funzionalità è stata molto apprezzata dall’ufficio di Guerra Elettronica del Pentagono.
- Con AWARE ci siamo occupati di cavi internet sottomarini arrivando a scoprire che oltre il 90% del traffico dati globale transita attraverso questa infrastruttura, in quanto più efficiente delle sue alternative satellitari. Nonostante ciò, sembrerebbe che le tecnologie satellitari siano coinvolte in una vera e propria rivoluzione. Quali sono le principali innovazioni che rendono gli assetti satellitari di nuovo competitivi?
È da anni che il settore delle telecomunicazioni è in fermento, la cinese Huawei ha imposto la propria tecnologia 5G, Facebook e Amazon implementano le loro reti di cavi sottomarini (e Amazon sviluppa anche quella satellitare), e persino Apple pianifica per il prossimo Iphone 14 l’introduzione di chip satellitare integrato. In pratica reti terrestri, sottomarine e satellitari vanno sempre più a integrarsi e le conseguenze sono che i fornitori di accesso alle telecomunicazioni non sono più i padroni della catena del valore, ma intermediari che subappaltano tecnologia e infrastrutture al miglior prezzo. Per quanto riguarda gli assetti satellitari sta venendo meno l’ostacolo che sinora aveva impedito l’implementazione di costellazioni satellitari competitive, parliamo del ridotto costo dell’infrastruttura, per esempio con i costi di lancio che SpaceX abbassa drasticamente trasportando decine di satelliti e riusando i propri razzi; parliamo di una maggiore efficienza della connettività e di una latenza accettabile, per esempio con la microelettronica incredibile dei terminali Starlink. Questo consente una compressione della catena del valore e l’attore unico, il solito esempio è la SpaceX, si rivolge direttamente senza intermediari al mercato, cioè cittadini, compagnie aeree, marittime, case automobilistiche e governi. Il tema è se ci sarà spazio – sembra un gioco di parole – nello Spazio per tutte queste nuove reti da migliaia di satelliti che puntano a occupare delle fasce orbitali ben precise, dai 400 ai 1000 km. Nonostante Elon Musk dichiari al Financial Times che ci sia spazio per miliardi di satelliti intorno alla terra, io non ne sono così convinto.
- Nei discorsi sulla geopolitica dello spazio la grande assente sembra essere, nonostante l’attivismo francese, l’Europa. Sebbene tutti sembrano concordare sulla necessità di sviluppare un approccio comune, definire i contenuti di tale approccio risulta tutt’altro che facile. La guerra in Ucraina può fungere da catalizzatore per un approccio congiunto europeo o ha, al contrario, evidenziato le differenti priorità degli Stati Membri?
Il discorso è complesso. L’Europa spaziale è nata e cresciuta dagli anni settanta sostanzialmente con le attività sviluppate dall’Agenzia Spaziale Europea ESA e devo dire che i risultati sono stati notevoli. Va detto con realismo. ESA ha permesso la crescita industriale dei paesi membri con meccanismi intelligenti di protezione come per esempio il “giusto ritorno”. Però ESA per statuto non può realizzare progetti militari, pertanto in Europa il driver di innovazione che innegabilmente si portano dietro i progetti a vocazione di sicurezza e difesa, non è stato mai sviluppato su base continentale ma nazionale. E quindi su base frammentata e legata alle capacità finanziarie di ogni singola nazione e alla loro proiezione geopolitica nazionale. Da una ventina d’anni la Commissione Europea, che non ha limitazioni di sviluppo militare come ESA, sta provando a acquisire sempre più leadership strategica, gestionale e finanziaria nei programmi spaziali, e ciò per poter realizzare programmi strategici e funzionali a una geopolitica europea, ammesso che sia identificabile. Tutto ciò però ha portato a frizioni con ESA e con gli stati membri e il processo non è ancora concluso. Certo che la guerra in Ucraina sta portando un “sentimento” di necessità strategica di una – per me ancora poco chiara nei contenuti – difesa europea comune, di cui lo Spazio sarà uno dei pilastri. Ma al di là dei messaggi comunicativi della Commissione le differenze di strategia geopolitica degli stati ancora ne influenzano i processi. Sarà per esempio interessante vedere se e come il dichiarato riarmo tedesco da 100 miliardi di euro coinvolgerà i sistemi spaziali, dato che in Germania sono molte attive alcune startup, finanziate anche dal governo federale, che sviluppano nuovi lanciatori. E sappiamo bene che per Parigi il controllo sulla sovranità tecnologica dei veicoli di lancio è un totem inamovibile. Vediamola comunque in un altro modo: le situazioni di sconvolgimento comportano una revisione delle posture strategiche e questo processo, se ben veicolato, potrebbe portare a meglio indirizzare programmi e progetti. Ma di certo non sarà un processo semplice o veloce.
- L’Italia è il terzo contributore dell’ESA e le sue competenze ed assetti sono imprescindibili per lo sviluppo dello spazio europeo. L’Italia, però, ha anche uno storico rapporto di cooperazione profonda con gli Stati Uniti nel settore dello spazio, è possibile che la nostra sia una posizione scomoda o altamente strategica?
Dipende da come la utilizziamo. Ma a mio avviso è una grande opportunità strategica. Il dualismo, chiamiamolo così, è stato in passato benefico per il nostro paese e su questa linea dovremmo proseguire. Ricordo che fu grazie a un accordo bilaterale ASI-NASA che l’industria italiana realizzò tre moduli abitativi della ISS e l’Italia acquisì dei diritti di utilizzo delle risorse della Nasa per fare esperimenti e inviare i propri astronauti sulla stazione. Cosa che ancora oggi avviene. Inoltre, la nostra industria fornisce da anni i cargo pressurizzati Cygnus per la ISS ed è oggi molto impegnata con le aziende americane per il progetto Artemis e per le nuove Space Stations commerciali. Questo è stato reso possibile da un intelligente percorso strategico a doppio binario che ha portato a un volume di attività che sarebbe stato difficile da ottenere nel solo ambito dell’ESA. Inoltre dovremmo allargare quanto possibile gli ambiti di cooperazione scientifica spaziale con altri paesi del mondo perché la Space Diplomacy è uno strumento di proiezione pacifica della geopolitica di un paese che può risultare molto utile in un mondo multipolare e conflittuale.
- Una politica industriale che valorizzi il settore spaziale non può prescindere da una visione strategica che determini il come impiegare gli assetti sviluppati, e di un ecosistema che sostenga e faccia crescere giovani aziende e start-up. A che punto è l’Italia su queste tematiche?
Diciamo che nel nostro paese è sempre stata in gran parte la politica industriale che ha guidato la visione strategica, nel senso che la grande industria ha potuto influenzare l’indirizzo di larga parte dei fondi governativi stanziati dalla politica, e non viceversa. Alcuni obiettano che ciò non sia per nulla negativo in quanto – come dicevano un tempo alla FIAT – ciò che va bene alla grande industria va bene anche per il paese. E se questo può essere un concetto valido per prodotti di elevato consumo, forse lo è meno per la manifattura di altissima qualità intellettuale e materiale come quella spaziale che realizza beni e servizi a elevato valore strategico per il paese. Prendiamo ad esempio i fondi PNRR dedicati allo Spazio, oltre 2 miliardi di euro, la gran parte di essi sono stati dedicati a progettualità di ampio respiro che sono chiaro appannaggio della grande impresa. Il che va bene, ripeto, per l’elevata numerosità occupazionale e l’indotto sostenuto. Poi è stato varato un fondo complementare, mi pare di c.a. 800 milioni di euro, dedicato alla competitività di impresa e a nuove tecnologie. Ed è su questo punto va impostata una strategia di politica industriale che derivi da scelte politiche. Guardiamo a cosa viene fatto in Francia, per esempio, i fondi del piano France Relance, analogo del nostro PNRR, che sono dedicati allo Spazio vengono ripartiti per due terzi solo alle startup e alle PMI innovative. Il CNES, l’agenzia spaziale francese, ha nel frattempo creato un ecosistema per queste nuove imprese e infatti sulle 700 startup spaziali attive in Europa – la stima è dell’ESA – ben due terzi sono in Francia. Diciamo che in Italia si sta provando a muoversi su un terreno simile, non sarà facile ma il processo è partito. Un’ultima considerazione, sarebbe bene integrare anche il mondo militare, che è indubbio driver di innovazione, in questo processo, e questo anche per poter giocare meglio sui tavoli europei.