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L’Intelligence economica che manca in Italia

L’Intelligence economica a supporto delle strategie di impresa

“Comprendere come l’intelligence economica possa essere un supporto alle strategie di impresa è divenuto centrale”, ha affermato Gianni Letta in occasione del webinar “L’intelligence economica ai tempi di Covid-19”, organizzato dalla Luiss Business School. Ibridare le competenze del mondo del business con quelle dell’universo dell’intelligence può, infatti, offrire un cruciale valore aggiunto ad imprese ed organizzazioni chiamate ad orientarsi in un mondo complesso come quello di oggi. L’intelligence economica, delle volte chiamata anche “Business Intelligence”, serve ad aiutare le aziende o gli Stati a gestire e controllare il flusso di informazioni in entrata, agevolando il processo di decision-making ed incrementando dunque la competitività. Molti paesi hanno già predisposto un sistema nazionale di intelligence economica, mentre in Italia sia lo Stato che le imprese ne sottovalutano l’importanza, derubricando ogni investimento in tale direzione come un superfluo costo operativo, e non considerando l’investimento una risorsa  ineludibile per navigare consapevolmente le acque tempestose del presente. È imperativo dunque agire ora, pena diventare definitivamente terra di conquista altrui. 

Custodire, proteggere, analizzare, vincere

L’intelligence economica è “la disciplina che, studiando il ciclo dell’informazione necessario alle imprese e agli Stati per effettuare scelte corrette di sviluppo, si prefigge di affinare le abilità cognitive e decisionali applicate alle complessità del contesto competitivo globale” [1]. In breve, è la trasformazione delle informazioni in conoscenza e della conoscenza in scelte operative. Tale branca dell’intelligence nasce dunque all’interno di Stati o imprese come strumento utile per gestire l’eccesso di informazioni, il cosiddetto “white noise”, al fine di raggiungere vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti. Nell’era della internazionalizzazione delle imprese, ad esempio, hanno assunto grande rilevanza il mantenimento dei segreti industriali e la preservazione del patrimonio tecnologico di Stati ed aziende. Spionaggio industriale e cibernetico sono l’ordine del giorno per molte realtà, chiamate quindi ad avvalersi di meccanismi di difesa ignorati fino a soltanto pochi anni fa. Inoltre, si sono altresì diffuse tecniche di reverse engineering, ossia di ricostruzione dei prodotti partendo dai processi produttivi, e di benchmarking, cioè di analisi di informazioni  lasciate filtrare per scoprire segreti industriali. In tale contesto, Stati e imprese sono chiamati come mai prima d’ora a custodire e proteggere le proprie informazioni strategiche, sottraendole a chi potrebbe utilizzarle in modo ostile o indesiderato. In breve, le parole chiavi sono proprio custodire, proteggere e analizzare. Alla preservazione del patrimonio informativo, deve seguire la capacità di estrarre dal materiale grezzo ciò che è rilevante: l’interpretazione delle informazioni è un’abilità sempre più richiesta a decisori politici e manager. Solo così l’organizzazione potrà essere reattiva, flessibile, dinamica e consapevole, pronta ad avere la meglio (“vincere”) nella darwiniana arena geo-economica del 21esimo secolo.

L’Intelligence economica in Francia e negli Stati Uniti

All’indomani dell’implosione dell’Unione Sovietica, si diffuse negli Stati Uniti la convinzione che fosse proprio l’assenza di una intelligence economica robusta ad aver impedito agli apparati americani di prevedere la fine dello storico nemico. Bill Clinton, eletto sull’onda del motto “It’s the economy, stupid”, avviò numerose iniziative legislative volte a rafforzare la postura statunitense nel settore specifico: l’Economic Espionage Act (1996), il National Economic Council (1993), il National CounterIntelligence Policy Board  e l’Office of the National CounterIntelligence executive (NACIX). Inoltre, sono stati creati veri e propri uffici di intelligence economica in tutti i Dipartimenti; in particolare l’Office of Intelligence and Analysis del Dipartimento del Tesoro e l’Office of Intelligence and CounterIntelligence del Dipartimento dell’Energia. 

Allo stesso tempo, è impossibile parlare di intelligence economica senza menzionare il caso francese. Nel 1997 è stata infatti fondata a Parigi la École de guerre économique (EGE), la quale ha “costruito un progetto pedagogico fondato sulla crescita in potenza degli scontri economici e sull’importanza presa dalle informazioni nella loro risoluzione” [2]. Non c’è dunque da stupirsi se – nel paese di Colbert, Richelieu e Mazzarino, dell’ENA e della Grandeur, nonché della scuola francese di geopolitica promossa da Yves Lacoste e dalla rivista Herodote – si è potuta sedimentare e sviluppare negli anni una cultura della guerra economica. Quando si parla di relazioni economiche Italia-Francia, mai dimenticare il milieu culturale di cui sono figli i cugini d’Oltralpe. 

Un esempio di guerra economica: il caso Fincantieri-Stx

Un esempio recente e attuale di guerra economica riguarda il caso Fincantieri-STX. Il colosso italiano, sin dal 2017, aveva manifestato la sua intenzione di acquisire la maggioranza dei cantieri navali francesi di Saint Nazaire, ponendo le basi per la nascita di un “gigante navale europeo”. Tuttavia, tale intenzione suscitava grosse perplessità nelle stanze dei bottoni francesi. Casualmente, nel luglio 2018, il giornale economico finanziario La Tribune rilasciò un report riservato nel quale venivano mosse pesanti accuse all’azienda italiana (dal titolo emblematico: “Fincantieri: una relazione molto, molto pericolosa per Naval Group?”). Il diavolo risiede nei dettagli: tale report fu infatti realizzato da Adit (l’Agence pour la diffusion de l’information technologique – Agenzia per la diffusione della informazione tecnologica), una società francese a partecipazione statale leader nel campo dell’intelligence economica. Inoltre, Adit nel 1990 si chiamava Aditech ed il responsabile delle relazioni esterne era Christian Harbulot, attuale direttore della scuola di guerra economica francese. Nello specifico, Adit fu creata nel 1992 su iniziativa statale, e le sue principali aree di competenza riguardano “le strategie industriali, l’identificazione di reti di influenza e circuiti di decisione, l’analisi del panorama competitivo, i problemi di sicurezza economica e finanziaria, nonché la comunicazione istituzionale” [3]. Noi italiani siamo quindi stati vittima, per lo più inconsapevolmente, di una guerra dell’informazione volta a rinegoziare l’accordo tra Fincantieri e STX, indebolendo il player italiano al tavolo delle trattative. 

Senza Intelligence economica, la tenuta del sistema industriale italiano è a rischio

L’Italia, sconta in conclusione una cronica mancanza di cultura strategica, che ha inevitabilmente come corollario anche l’assenza di un dibattito sulla necessità di un sistema nazionale di intelligence economica. Un Paese come il nostro, il cui tessuto industriale è basato su piccole e medie imprese, pagherà un prezzo molto elevato qualora non venga avviata nessuna azione in tal senso. Le PMI sono infatti gli attori più vulnerabili agli attacchi cibernetici e alle attività di spionaggio industriale e tecnologico: l’Italia, quindi, in un mondo dove i capitalismi politici si rafforzano, rischia di andare incontro ad un depauperamento del know-how industriale e ad una perdita di competitività delle imprese nazionali sui mercati esteri. In soldoni, bye bye Made in Italy. Urge dunque una presa di coscienza da parte delle nostre istituzioni nazionali, le quali dovrebbero mettere in atto, come minimo, le seguenti pratiche:

  • istituire un Nucleo per l’intelligence economica presso la Presidenza del Consiglio, che fungerebbe da corrispettivo italiano del National Economic Council statunitense e del Comité pour la Competitivité et l’Intelligence Economique francese;
  • favorire una diffusione di una cultura dell’intelligence economica nelle imprese, in particolare nelle PMI;
  • incentivare un maggior flusso di informazioni tra settore privato e settore pubblico, magari realizzando banche dati condivise;
  • investire nel mondo dell’istruzione e della formazione, al fine di creare un terreno fertile per una prossima generazione di decisori più consapevole dei rischi  e delle opportunità che saremo chiamati ad affrontare.

Nelle parole utilizzate dalla Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, è necessario un notevole sforzo di “adeguamento dottrinario, organizzativo e culturale”. L’Italia di oggi non è pronta all’odierna competizione internazionale, caratterizzata in gran parte da una “guerra senza limiti” che trascende gli schemi classici ed investe in molteplici dimensioni. Il mondo è dominato da carnivori geopolitici e geoeconomici: l’Italia dovrà quindi al più presto adeguarsi se non vorrà soccombere. 


Bibliografia:
1 Jean C., Savona P., Intelligence economica. Il ciclo dell’informazione nell’era della globalizzazione, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (2011).
2 https://www.ege.fr/index.php/l-ecole/presentation/scuola-di-guerra-economica.html
3 https://formiche.net/2019/09/intelligence-economica-francia-adit-cina/

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