Nelle ultime settimane si è parlato molto di Argentina. Se è vero che guardando al passato si può predire il futuro, potremmo concludere che il governo latino-americano è condannato all’ennesimo fallimento a causa dell’insostenibilità del proprio debito pubblico in mano ad investitori stranieri, privati e pubblici. Sembra la solita vecchia storia del governo incapace di mantenere le promesse finanziarie ai creditori internazionali in quanto incapace di allocare efficacemente le risorse, con un peso argentino fortemente instabile.
Le cose non sono così semplici però. Il futuro del Paese è molto più imprevedibile se guardiamo alle odierne peculiarità politiche ed economiche; la pandemia COVID19 contribuisce ulteriormente a questa incertezza.
Sin dalla sua fondazione, il movimento peronista ha sempre goduto dei più alti tassi di consenso nel panorama partitico argentino. Tuttavia, è stata proprio un’amministrazione peronista, guidata dall’ex presidente Cristina Fernandez de Kirchner, a creare le condizioni per l’ascesa di un partito d’opposizione nel 2015. In questo anno, la frustrazione ed il dissenso riguardo le politiche ultra-protezionistiche implementate dal governo, ed i molteplici scandali di corruzione ad esso legati, hanno aperto la via per la vittoria delle elezioni di Mauricio Macri, famoso imprenditore argentino, spezzando così la successione di presidenti Peronisti.
L’ex patron della società sportiva Boca Juniors ha adottato, fin da subito, un approccio molto più liberista: da un parte, ponendosi l’obiettivo di incentivare la crescita economica attraverso la riapertura del Paese ai mercati globali, dall’altra, mirando ad un aumento della stabilità della moneta nazionale e quindi della fiducia degli investitori. In questa direzione, ha abolito il controllo dei cambi introdotto dalla sua predecessora, ha ammortizzato i toni sempre più tesi con i detentori del debito pubblico argentino e ha alleviato il peso fiscale che gravava sugli esportatori. Tuttavia, questo non è stato sufficiente a rassicurare gli investitori e a garantire un livello di ingresso di investimenti e capitali stranieri tali da stimolare l’economia nazionale. Quando, nel giugno del 2018, la FED ha alzato i tassi d’interesse, innescando l’apprezzamento del dollaro, l’effetto è stato duplice. Da un lato, la rendita degli strumenti finanziari americani è diventata più attraente per gli investitori internazionali, a scapito dei bond e dei titoli finanziari di Paesi come l’Argentina. Dall’altro, in Argentina, che ha storicamente una forte dipendenza da importazioni pagate in dollari, si è avuto un mancato afflusso di valuta forte, portando alla speculazione dei mercati contro il peso argentino e aggravando la situazione. Durante lo stesso anno, a fronte di un’inflazione incontrollabile, il FMI è intervenuto con un bail-out di $57 mld, il più ingente della sua storia. L’intervento del Fondo ha imposto all’Argentina misure di austerità che determinarono il declino della popolarità del presidente, accusato di aver venduto il Paese all’estero. Nel frattempo, è diventato chiaro che l’avversario politico alle presidenziali del 2019 sarebbe stato il peronista, moderato, Alberto Fernàndez, accompagnato dalla candidata vicepresidentessa Cristina Fernàndez de Kirchner (nessuna relazione con il primo).
Il peso argentino subì un altro duro colpo, a causa della sfiducia degli investitori in questi candidati tradizionalmente protezionisti e anti-liberisti, ma il loro consenso politico interno si andò rafforzando sempre più, fino alla vittoria elettorale dello scorso dicembre. Il Presidente argentino entrante si trovò davanti a due enormi sfide: l’insostenibile debito pubblico (a cui si aggiungono i 57mld dell’ultimo salvataggio del FMI) e la pandemia globale. Un momento storico per il movimento Peronista, che potrebbe uscire vincitore da questa complicatissima situazione e ripristinare la fiducia nel partito da parte del popolo.
Le severe misure di lockdown, distanziamento sociale e prevenzione hanno certamente rallentato l’economia del Paese, ma anche limitato il numero di contagi e morti da COVID19. Proprio per questo motivo il supporto politico per Fernández è cresciuto esponenzialmente, raggiungendo uno strabiliante 78%. Oltre alla (percepita) ottima gestione della crisi sanitaria, questa popolarità si spiega anche dalle uscite in pubblico del Presidente e del Ministro dell’Economia Martìn Guzman nel rivendicare il diritto dell’Argentina ad accedere a termini di ripagamento del debito molto più convenienti per evitare un altro default che farebbe male agli argentini, al FMI e ai detentori del debito.
Il braccio di ferro tipicamente Peronista con i creditori non può certamente durare a lungo: se in passato il Presidente Néstor Kirchner era riuscito a rinegoziare il debito è perché poteva fare leva su un’economia in forte e costante crescita. Al contrario, le estreme fluttuazioni che hanno caratterizzato l’economia argentina negli ultimi anni non permettono all’amministrazione corrente di far leva su aspettative di solidità e crescita future nelle negoziazioni con i creditori.
Il governo deve, quindi, trovare un compromesso tra le parti per evitare un default che nel contesto della pandemia potrebbe portare il supporto per il movimento Peronista ai minimi storici, oltre all’evidente catastrofe socio-economica per il Paese.
Un fattore chiave che contribuisce a rendere questo momento così diverso dal passato è il progressivo mutamento della dirigenza del FMI. Il Fondo ha iniziato, prima con Dominique Strauss-Kahn (2007-2011) e successivamente con Christine Lagarde (2011-2019), ad adottare un approccio sempre più orientato allo stimolo fiscale per una crescita a lungo termine, al posto di misure di austerità imposte per giungere ad un mero rientro dei conti in bilancio nei Paesi in crisi economica che chiedono aiuto finanziario al Fondo. Ad ottobre 2019, Kristalina Georgieva è diventata la nuova direttrice operativa, con l’ambizione di trasformare l’organizzazione da “enforcer” delle tanto criticate riforme finanziarie nei Paesi più poveri a “facilitator” per la crescita a lungo termine degli stessi.
Il caso Argentina rappresenta, dunque, l’opportunità per il FMI di cambiare definitivamente il suo modus operandi e inaugurare una nuova era di cooperazione internazionale.
Il default tecnico e le seguenti negoziazioni
Sin dal periodo immediatamente successivo al suo insediamento nel dicembre 2019, il presidente Fernández non ha fatto mistero dello status di “default virtuale” in cui versava il Paese.
L’economia in contrazione, la svalutazione del peso e i livelli di povertà in aumento erano già tali da poter concludere che gli oneri finanziari del Paese non sarebbero stati rispettati. Ad aprile 2020, il governo posticipò una serie di pagamenti su debiti emessi in dollari sotto giurisdizione argentina. Nel momento in cui, il 22 maggio scorso, il Paese si è trovato insolvente rispetto al pagamento di $503m in interessi su obbligazioni emesse sotto la giurisdizione dello Stato di New York, l’Argentina è entrata in una fase di default tecnico. Si tratterà del nono default per il Paese sin dalla sua indipendenza, nel 1816.
Che interessi in gioco?
Un effettivo default dell’Argentina comporterebbe il mancato pagamento di $65bn, a scapito di creditori internazionali di ogni tipo: il Fondo Monetario Internazionale in primis, ma anche altri stati sovrani, investitori istituzionali (fondi di investimento, fondi pensionistici, banche e altri intermediari finanziari) ed investitori privati. In caso di default, questi creditori potrebbero provare a rivalersi sugli asset del Paese, ma le prospettive di esiti felici qualora lo scenario dovesse verificarsi sono decisamente scarse: quando l’Argentina entrò in default nel 2001, i creditori internazionali portarono il Paese in giudizio, ma l’intero processo durò una decade.
D’altra parte, un default renderebbe i mercati di capitali internazionali inaccessibili all’Argentina per anni, con conseguenze disastrose in termini di inflazione, svalutazione ulteriore del peso, possibilità di investimento e di approvvigionamento di risorse d’importazione. Se sommate allo shock economico che il coronavirus ed il lockdown comportano e comporteranno per il Paese, le conseguenze di una mancata ristrutturazione del debito potrebbero annichilire economicamente l’Argentina per anni. Per queste ragioni, entrambe le parti hanno lavorato fin da subito per collaborare nel trovare un sentiero percorribile che non portasse al baratro.
Attori e proposte
Gli attori fondamentali in gioco, come già si è visto, si dividono in tre schieramenti fondamentali: il Fondo Monetario Internazionale, il governo argentino e il blocco dei creditori internazionali. Vale la pena approfondire singolarmente l’apporto di ciascuno di loro allo sviluppo dei negoziati.
Il Fondo Monetario Internazionale
Se già con l’elezione del governo Fernandez la fiducia degli investitori internazionali nella capacità argentine di ripagare il debito si era incrinata pericolosamente, traducendosi in svalutazione importante e ritmi inflazionistici allarmanti, il 19 febbraio 2020 il Fondo Monetario Internazionale ha assestato un ulteriore tremendo colpo al Paese, pubblicando le considerazioni tratte dal team IMF capitanato da Julie Kozack (Deputy Director of the Western Hemisphere Department, IMF), a seguito di una settimana di confronti con le autorità governative e monetarie del Paese.
Infatti, l’IMF Staff Statement on Argentina chiarisce inequivocabilmente come, nonostante gli encomiabili sforzi profusi dalle autorità per stabilizzare la situazione finanziaria ed inflazionistica argentina, le condizioni del Paese fossero irrimediabilmente deteriorate rispetto alle fonti di rischio evidenziate nella Debt Sustainability Analysis (DSA) pubblicata a luglio 2019. Nel documento, i principali fattori di rischio indicati erano: “(i) heightened rollover risk due to the shorter maturities on new issuances; (ii) vulnerability of the debt trajectory to exchange rate movements, given the large share of foreign currency public debt; and (iii) large external financing needs”.
Nello Statement, il team conferma come tali rischi si siano concretizzati: svalutazione del peso per oltre il 40%, spread tra titoli di stato sovrano vicini ai 1100 punti base (11%), un declino di oltre il 20% nelle riserve di valuta estera ed una contrazione del PIL superiore a quanto stimato, con un rapporto Debito/PIL stimato oltre il 90% (più del 13% superiore alle previsioni realizzate lo scorso luglio). A ciò bisogna aggiungere le misure di controllo dei flussi di capitale introdotte già da agosto 2019, la moratoria sui pagamenti di alcuni debiti, ed un ricorso alla banca centrale per supportare il deficit fiscale. In luce di tutte queste considerazioni, il 19 febbraio 2020 il team IMF ha definiva il debito argentino come “insostenibile”. Come si può notare dal grafico precedente, dalla pubblicazione dello Statement lo spread sui titoli sovrani si è ulteriormente allargato ed il valore del peso è sceso ulteriormente (sicuramente un driver importante è stato anche lo scoppio della pandemia). Tuttavia, va sottolineato come la posizione dell’FMI oggi sia evidentemente in favore di una rapida ristrutturazione del debito del Paese, tanto da fare sponda al governo nel dialogo coi creditori, offrendo un anchoring ai valori negoziati tale da ridimensionare in modo importante le pretese delle controparti private, chiarendo come una soluzione che ridimensioni gli interessi sul debito al 50-55% del loro valore sia il massimo a cui può arrivare il governo argentino.
Fernandez, Guzman e la Casa Rosada
Il governo argentino oggi si trova davanti a tre problemi fondamentali che rendono prioritaria una soluzione negoziale all’insostenibilità del debito. In primo luogo, il sistema economico argentino è caratterizzato da un insufficiente livello di esportazioni rispetto alle esigenze di importazione del Paese, elemento che porta ad un costante e oneroso sforzo per mantenere le riserve di valuta straniera in seno alla banca centrale a livelli ragionevoli. In secondo luogo, il sistema bancario argentino è sottosviluppato e non è in grado da solo di fornire il credito necessario allo sviluppo economico nazionale: in questo senso, l’accesso ai capitali internazionali è una condizione essenziale per sopperire alle necessità finanziarie del tessuto economico argentino.
Il terzo elemento critico è rappresentato dalle tempistiche: per un paese giovane come l’Argentina, è essenziale poter garantire una soluzione in fretta, in modo da evitare l’aggravarsi dei costi del capitale legati ad investimenti industriali ed infrastrutturali, la spina dorsale per la crescita e la creazione di posti di lavoro nel Paese.
Al contempo, il governo ha speso innumerevoli parole per spiegare come qualunque soluzione verrà presa tenendo conto del fatto che il governo argentino provvederà a ripagare il proprio debito solo fintantoché le condizioni previste saranno tali da non lasciare in ginocchio la nazione.
In questo senso, si è da subito impegnato per raccogliere il consenso della comunità internazionale e dell’FMI, in modo da garantirsi una base negoziale solida con le proprie controparti, complice anche lo scoppio di Covid-19 e una rinnovata posizione internazionale favorevole ai supporti alla crescita. La prima proposta dalla Casa Rosada, un “haircut” al net present value del debito pari al 70% circa, è stata infatti rapidamente rivista, e si colloca oggi intorno alla proposta di un taglio di poco sotto al 50%, che sembra rappresentare finora il tetto massimo oltre cui le posizioni del governo si irrigidiscono irrimediabilmente.
I creditori internazionali
Rappresentati da una serie di blocchi di interessi, i creditori internazionali sono capitanati nei loro sforzi di negoziazione da grandi nomi del calibro di BlackRock e società come Fidelity, Ashmore and T Rowe Price. Si dividono tra creditori legati ad obbligazioni che possiamo definire “ordinarie” (i nomi sopra menzionati), per le quali la richiesta iniziale era stata di un recovery value intorno al 60%, e i detentori dei cosiddetti “Exchange bonds”, obbligazioni emesse tra il 2005 ed il 2010 e già precedentemente ristrutturate, per i quali il recovery value richiesto si attestava intorno al 58%. Tra i detentori degli exchange bonds, società ed hedge funds come VR Capital Group, Monarch Alternative Capital and HBK Capital Management detengono una quota di crediti tale da avere un peso specifico fondamentale nella definizione di qualsiasi modifica al credito.
Altro elemento essenziale alla negoziazione corrente è la moratoria sul pagamento degli interessi, una volta ristrutturati: la Casa Rosada nella sua offerta iniziale propendeva per un’interruzione al pagamento degli interessi che arrivasse almeno al 2023, mentre i creditori esigevano di vedersi corrisposti gli stessi a partire dal 2021.
L’arresto
Sfortunatamente, il processo di negoziazione, che pareva procedere a passi spediti verso una progressiva convergenza nei termini della ristrutturazione, ha recentemente subito una severa fase d’arresto. Da un lato, la Casa Rosada sostiene di non poter concedere più di quanto fatto finora, se non a fronte del tracollo del Paese. Sul fronte opposto, il blocco dei creditori accusa Buenos Aires di negoziare in mala fede e abbassare le stime sulle capacità economiche e la crescita del Paese, pur di limitare l’esborso che il nuovo piano di ristrutturazione richiederà.
Non ci è dato sapere come questa situazione evolverà, ma tuttavia vale la pena guardare con speranza ad una finale conciliazione tra le parti, specie se consideriamo il caso argentino come il primo potenziale precedente di rinegoziazione del debito di un Paese in via di sviluppo nel contesto dell’ondata di fragilità finanziaria che sconvolgerà il mondo, quando gli effetti economici della pandemia si renderanno totalmente manifesti.
Per sottolineare l’importanza storica che la soluzione di questa situazione ricoprirà in un futuro non troppo lontano, gli autori vogliono riportare integralmente la riflessione portata in un editoriale sul Financial Times da Robert Johnson (president of the Institute for New Economic Thinking and former Chief Economist of the US Senate Banking Committee):
“Creditors and debtor nations will be negotiating in the unprecedented conditions created by Covid-19. The old playbook of sovereign debt talks is no longer a guide, if it ever was. Much of the debtors’ troubles were not caused by the pandemic. But it has put them under vastly increased strain. At the same time, there is no model or statistical distribution either side can rely on to forecast the future with any credibility. We are sailing in the fog, or what the Chicago economist Frank Knight called “radical uncertainty”. Still, there are some guidelines that both sides can turn to. First, it is important that financiers recall the broader context. The ideology of shareholder maximisation and deification of markets is under challenge.
The very brand reputation of finance is at risk; so too the notion that finance can be a steward and a contributor to more prosperous societies. Creditors can ill-afford to look tough on the populations of debtor countries who will suffer from the economic consequences of something they did not cause. The Argentine discussions involve $65bn of debt. But the IMF estimates emerging markets financing needs at more than $2.5tn. This negotiation is important for Argentina, its creditors, other troubled sovereign debtors, and even global morale. It may be tempting to make an example of Argentina and show the next group of debtor nations how tough creditors can be. But that only increases the likelihood of a costly default for both side”.
Sitografia:
https://www.as-coa.org/articles/approval-rating-update-argentinas-alberto-fernández
https://www.imf.org/en/News/Articles/2020/02/19/pr2057-argentina-imf-staff-statement-on-argentina
https://www.ft.com/content/5c042213-85fa-4f28-9a37-03650a87024b
https://www.ft.com/content/2ad3c702-9f43-11ea-ba68-3d5500196c30
https://www.ft.com/content/ab18350b-984d-4fca-9ba5-06f2881355f7
https://ftalphaville.ft.com/2020/06/12/1591974476000/Argentina–restructuring-in-the-time-of-Covid-19-/
https://www.ft.com/content/0ce01518-4b67-4a7d-b435-93386f7ea874
https://www.economist.com/the-americas/2020/05/23/argentina-defaults-yet-again-but-hopes-to-get-off-lightly