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L’ingiustizia che divide chi ha e chi non ha

Da oltre un mese, il messaggio che ci viene comunicato da ogni dove è “restate a casa”.
La casa, l’abitazione, la dimora, insomma: il rifugio. Quel piccolo o grande spazio in cui si esercita la nostra più intima, vera e concreta libertà. L’immobile, quel bene fisico essenziale che vuol dire molte cose: pace, serenità, privacy, famiglia. Definizioni che, tuttavia, portano imprescindibilmente con sé, l’altra faccia della medaglia: sudore, sacrificio, rate del mutuo, canoni di locazione.
Senza dimenticare, poi, coloro che per casa, purtroppo, intendono la prigione, l’agonia, lo stress, le pulizie, la convivenza forzata con persone spesso insopportabili. E non ci si può nemmeno dimenticare, infine, di coloro che una casa non ce l’hanno e si accampano in una macchina, vagano per strade senza meta e destinazione, o sono ospiti di qualche benefattore o della caritas.

Quante cose vuol dire il termine ‘casa’, la ricerca di una definizione puntuale, come visto, è indissolubilmente legata alla nostra visione soggettiva, quella cui siamo abituati giornalmente a fare i conti.
La casa… forse davvero non vi è in natura una rappresentazione più fedele dell’ingiustizia sociale, ed il virus ci ha sbattuto in faccia anche questa realtà. Eh sì, perché – vedete – c’è una bella differenza nel fare la quarantena, l’autoisolamento o quello che è, in grandi ville lussuose, appartamenti di trecento metri quadrati con ampie verande e splendide vedute oppure in piccoli tuguri, seminterrati da cui si vedono solo gambe di passanti che vanno su e giù, lasciando la possibilità di una vista per l’intero solo dei cani, nella speranza che non alzino la zampa e la finestra non sia rimasta aperta. C’è una bella differenza tra il trascorrere il tempo tra mille comforts, alla ricerca del libro da leggere o il film da guardare on-demand, ed il trascorrerlo, invece, senza poter fare nulla se non guardare il soffitto, con la mente affollata da ansie e preoccupazioni per il domani che appare più nero dell’oggi.

Gli invisibili

Ah, quanto è amara questa quarantena per i meno fortunati, rintanati in piccoli spazi, spesso ammassati l’uno sull’altro: senza libertà, pace, serenità, privacy. C’è la famiglia, d’accordo, ma anche quella è opera del fato, anche quella è decisa dalla sorte, non si sceglie, non si cambia. Anche nella famiglia che capita può esserci sventura: le cronache mettono tristemente in luce come, molto spesso, all’interno della famiglia si verifichino barbare e raccapriccianti scene di violenza, lotte perenni e incomprensioni intollerabili che sfociano in tragedie.
Con fatica la mente riesce ad immaginarsi certe realtà, eppure esistono. Nel silenzio della società, dimenticati dai più, c’è chi sta pagando a caro prezzo questo rifugio obbligato. Senza internet, senza telefono, senza privacy, senza pace, spesso senza cibo e senza un amico col quale si evade solitamente dalla prigione chiamata casa, c’è chi sta compiendo una guerra spietata con la sua condizione sociale. Figli di un Dio minore scontano una pena senza appello, mentre i loro coetanei borghesi, cullati dalla noia, si lamentano della segregazione, scrivendo indignati le loro riflessioni sui social, comodamente seduti sul divano con in mano il loro ultimo modello di smartphone, domandandosi se la corsetta, per mantenere la linea ed il fisico curato, sia lecita o meno.

Il Mondo che verrà

Da che l’uomo è padrone della Terra si ripete questa ingiustizia che divide chi ha e chi non ha. In qualunque sistema, in qualunque Paese si troveranno sempre cibi per ricchi e cibi per poveri, case per ricchi e case per poveri, stagioni per ricchi e stagioni per poveri: se si è ricchi l’inverno diventa un gioco perché ci si compra la pelliccia e si va a sciare, se si è poveri, invece, il freddo diventa una maledizione e si odia perfino un paesaggio splendente sotto la neve. Così è sempre andata la vita, così è sempre girato il mondo, c’è sempre stato chi cenava con una carota e chi con ventisette portate.
Tuttavia, oggi, di un dato bisogna tener conto: il virus ha ricordato che agli occhi della morte, e quindi della vita, siamo tutti uguali, egualmente vulnerabili alle minacce che si presentano.
Ecco, allora, forse di questo ne dovremmo tener conto quando, finita l’emergenza, toccherà ragionare su un nuovo Mondo da costruire, un nuovo Risorgimento da intraprendere: un mondo dove si dia veramente importanza alla Dignità umana, un concetto scalfito tra i principi di ogni Costituzione contemporanea, ma spesso, e sotto gli occhi di tutti, svuotato di significato da un’ingiustizia dilagante.

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