
La COP più lunga della storia si è conclusa nel pomeriggio del 15 dicembre. La città ospitante è stata Madrid, scelta all’ultimo secondo per via delle agitazioni in Chile dove era previsto che si svolgesse originariamente dall’11 al 25 novembre. La sua conclusione era prevista per il 13 di questo mese, ma, come spesso accade, i disaccordi interni ne hanno prolungato la fine. I punti in sospeso che si sarebbero dovuti risolvere durante questa venticinquesima Conferenza delle Parti sono molti, i principali sono stati: l’aumento nell’ambizione dei contributi nazionali determinanti, il mercato del carbonio ed il sistema di gestione delle perdite e dei danni.
Le Conferenze delle Parti sono di vitale importanza per trovare le soluzioni necessarie al cambiamento climatico. Con questo articolo cerchiamo di capire se e come i 196 paesi che ne hanno preso parte ci siano riusciti e come si sono posti nei confronti di questi punti chiave affrontati durante la COP25.
Un pessimo inizio
La conferenza si è aperta con una certezza assoluta: non si sta facendo abbastanza. Questa convinzione deriva dal recente report dell’UNEP (UN Environment Program) sul gap delle emissioni. Il documento presentato il 26 novembre ha osservato i dati sulle emissioni a livello globale, confrontandoli con i percorsi ideali per il mantenimento delle temperature sotto l’1.5°C e i 2°C, obiettivi fissati nell’Accordo di Parigi (qui il relativo articolo). La conclusione maggiormente preoccupante a cui lo studio è arrivata riguarda la continua crescita delle emissioni di gas a effetto serra, nonostante raccomandazioni, trattati e manifestazioni.
I contributi nazionali determinanti
Molti punti del Trattato di Parigi aspettano di essere messi in pratica, ma far andare d’accordo 196 paesi, 197 se si considera l’UE, non è cosa semplice. Durante la COP25 il nodo principale da sciogliere è stato l’articolo 6 (del Trattato di Parigi, n.d.r.) sui cosiddetti NDCs ovvero i Contributi Nazionali Determinanti, che hanno rappresentato una delle principali fonti di dibattito. Questi documenti vengono sottoposti da ogni paese e contengono le azioni volte al raggiungimento degli obiettivi definiti dall’Accordo di Parigi.
La presentazione, come previsto nell’Accordo di Parigi, deve avvenire ogni 5 anni. Tale è anche la richiesta dell’ONU e dei paesi più attivi sul fronte ambientale. Mentre paesi come Russia, Brasile, USA, Australia, e molti altri, si sono detti contrari ad un tempo così breve, al fine di evitare un controllo eccessivamente stretto. Essi vorrebbero che i target si rivolgessero ad un arco temporale maggiore di 5 anni, ma questo porterebbe ad un controllo sugli obiettivi troppo leggero per un documento così importante.
Parola d’ordine: ambizione, essa viene ripetuta numerose volte all’interno del Trattato di Parigi ed è stata pronunciata da molti durante la conferenza, primo fra tutti dal Segretario Generale dell’ONU António Guterres. Tale ambizione deve caratterizzare i prossimi NDCs che in mancanza non saranno in grado di raggiungere l’obiettivo del mantenimento delle temperature sotto il limite dei 2°C.
Ma su questo punto c’è stato un totale fallimento, con solo 80 paesi, pari al 10% delle emissioni globali, hanno aumentato le ambizioni. Mentre nazioni come Cina, Brasile e Australia affermano di aver fatto il possibile.
Un mercato per il carbonio
Nello stesso Articolo 6 viene prevista la possibilità di stabilire un sistema di scambio di quote d’emissione, già attivo in Europa (l’ETS). Questo si dovrebbe basare su accordi tra paesi industrializzati e in via di sviluppo che, in base ad un sistema gestito da non si sa ancora chi né come, cederebbero la possibilità di inquinare in base alle riduzioni interne di CO2. Questo sistema prevede dunque l’applicazione di un cap, ossia un tetto massimo di emissioni, seguito da un trade, ovvero lo scambio.
Ma anche su questo punto non c’è stato alcun accordo, l’assemblea ha rimandato le discussioni all’anno prossimo, come successe già durante la COP24. L’assenza di una soluzione è dovuta alle difficoltà nella definizione del sistema stesso, che senza l’applicazione di un prezzo sul carbonio non potrebbe mai prendere vita. Altra problematica è quella relativa alla trasparenza, per evitare che vi siano paesi che ingannino nel dichiarare la quantità di emissioni ridotte. Tuttavia questo sistema rappresenta uno strumento fondamentale per la riduzione delle emissioni e per il processo di decarbonizzazione.
Perdite e danni
Ulteriore punto chiave è quello riguardante il sistema internazionale per affrontare perdite e danni provocati dal cambiamento climatico, conosciuto come Meccanismo Internazionale di Varsavia (WIM). La questione ruota intorno alla gestione ed al finanziamento di questo sistema. La sua attuazione è di fondamentale importanza, ma allo stesso tempo sono presenti criticità non da poco conto. Chi deve pagare? Quanto deve pagare? A chi? In base a cosa si definisce la relazione di causa-effetto? Questi sono solo alcuni dei punti da chiarire, cosa che puntualmente non è avvenuta, nonostante dei progressi ma che non hanno portato ad un accordo.
L’importanza del sistema risiede negli aiuti ai paesi maggiormente colpiti dal cambiamento climatico forniti da coloro che sono i principali responsabili di tale situazione. Ovviamente i principali sostenitori sono quei paesi meno sviluppati che hanno poca voce in capitolo e che hanno un futuro terrificante davanti, primi fra tutti i paesi che rientrano nell’Alleanza dei piccoli Stati insulari (AOSIS).
Anche su questo punto aspettiamo una conclusione nel 2020.
La COP25 non è tutta da buttare
Unica nota positiva è stata l’adozione del Piano di Azione sul Genere (Gender Action Plan), “creato nell’ambito del programma di lavoro di Lima sul genere, mira a promuovere la piena, equa e significativa partecipazione delle donne”, nello scenario del cambiamento climatico. Tuttavia, per l’adozione di questo documento l’assemblea si è ridotta al giorno prima della presunta chiusura della COP25.
Greta Thunberg aveva ragione quando pochi giorni fa ha ammesso “Non abbiamo ottenuto nulla, abbiamo scioperato per più di un anno e ancora non è successo praticamente nulla.”
La COP25 è stata l’ennesima Conferenza che ha portato ad un (quasi) nulla di fatto. Aspettiamo con ansia la COP26 che si terrà a Glasgow a novembre 2020, con la consapevolezza che il prossimo anno sarà quello del “o la va o la spacca”.