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Iran: il ritorno forzato all’ultra-conservatorismo

L’Iran post 1979

Dalla rivoluzione del 1979, l’Iran è una Repubblica Islamica Sciita basata sul principio della cosiddetta vilaet-e faqih, letteralmente, “tutela del giurisperito”, ovvero l’espressione del potere legale e della sovranità giuridica delle autorità religiose. A capo di queste vi è una Guida Suprema, l’Imam – ovvero “colui che sta davanti” – per eccellenza, il cui incarico, attualmente ricoperto dall’Ayatollah Khamenei, è quello di formare il Consiglio dei Guardiani. Quest’ultimo si occupa di interpretare il Corano per fornire le linee guida da rispettare nel processo di legiferazione, ma anche di valutare le candidature alla Presidenza della Repubblica e al Parlamento. Il Presidente è il Capo di Stato, ha mandato quadriennale e si occupa di nominare e presiedere il Consiglio dei Ministri. Il Parlamento (Majles) è monocamerale e composto da 290 membri i quali, prima di essere eletti, devono sottoporre la loro candidatura al Consiglio dei Guardiani che può rifiutarla o accettarla.

Da Obama a Trump, dal contenimento al confronto

Sin dal 1979, quando la monarchia degli Shah è stata rimpiazzata con l’istituzione della Repubblica Islamica, l’Iran si è dimostrato ostile nei confronti dell’Occidente, identificando come suo massimo esponente, gli Stati Uniti d’America. Nonostante diversi momenti di tensione, il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) stipulato tra Obama, il Presidente Rouhani, e il gruppo 5+1 (i cinque stati membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la Germania) sembrava sancire il principio di un rapporto più aperto e cooperativo tra i due stati, specialmente per quanto riguarda il nucleare. La decisione di uscire dal JCPOA del Presidente Trump, susseguita dall’imposizione di forti sanzioni economiche, nonché dall’uccisione del Generale Soleimani nel bombardamento di Baghdad, il 3 Gennaio 2020, hanno contribuito ad intensificare nuovamente le tensioni, con un serio rischio di ritorsione da parte dell’Iran. Mentre il comportamento ostile di Trump è stato criticato dai suoi alleati europei, questi ultimi infatti  non hanno seguito gli Usa nell’uscita dal JCPOA, Khamenei e il Consiglio dei Guardiani hanno sfruttato quest’occasione per condizionare l’opinione pubblica in vista delle elezioni parlamentari che si sono tenute venerdì 21 Febbraio. Infatti, negli ultimi giorni le elezioni del Parlamento iraniano hanno scatenato le critiche internazionali per via del veto imposto dal Consiglio dei Guardiani a migliaia di candidati tra i più moderati e riformisti all’interno del panorama politico iraniano. Alla vigilia delle elezioni il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha dichiarato di aver imposto ulteriori sanzioni a cinque alti funzionari per aver ostacolato il libero svolgimento di elezioni. Inoltre, sebbene le notizie da parte delle autorità iraniane sull’affluenza siano divergenti, sembra che anche i cittadini abbiano voluto esprimere il loro dissenso non presentandosi a votare. Nonostante le continue esortazioni da parte dell’Ayatollah per portare i cittadini alle urne parlando di “dovere religioso”, da una parte, nelle circoscrizioni storicamente a maggioranza conservatrice, come quella di Teheran, l’affluenza è stata maggiore, dall’altra parte non si può dire lo stesso di quelle a maggioranza moderata. I dati più recenti sull’affluenza parlano di un trend che si aggira attorno al 42% a livello nazionale.  

Il futuro dell’Iran alla luce del risultato delle elezioni parlamentari

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Fonte: CarattereLibri

Mentre i risultati, che sono stati  conteggiati a mano, hanno tardato ad arrivare, è stato fin da subito chiaro che “i falchi” –  nome attribuito all’ala conservatrice – avrebbero avuto la maggioranza nel nuovo Parlamento e che l’ex-Sindaco di Teheran, nonché ex-comandante delle Guardie Rivoluzionarie, grazie al largo numero di voti ricevuti nella sua circoscrizione è stato  eletto a Speaker. Mohammad Qalibaf (sopra in foto) è il leader del movimento conservatore Mostafa Mir Salim, ed è considerato da molti commentatori, il prossimo Presidente Iraniano. Nonostante la rielezione del Presidente avvenga soltanto nel 2021, lasciando de facto la rappresentanza del Paese ad un moderato per ancora un anno, un Parlamento conservatore, supportato dall’Ayatollah e dal Consiglio dei Guardiani, potrebbero riuscire ad isolare la voce moderata di Rouhani e a riadottare un approccio ostile verso l’Occidente. Questo possibile scenario preoccupa visibilmente numerosi leader in Europa e nel Medio Oriente, soprattutto alla luce della notevole influenza che Teheran esercita in Iraq, Siria e Libano, e della prossimità di Israele. Se Trump e Khamenei dovessero continuare a dimostrarsi inflessibili nelle loro rispettive posizioni , l’intensificazione delle tensioni potrebbe comportare serie conseguenze. L’Iran, che possiede il più ampio arsenale di missili balistici della regione, e che nonostante le sanzioni ha ripreso il suo programma di arricchimento dell’uranio, ad oggi non rappresenta un pericolo, ma potrebbe presto diventarlo. 

L’attuale crisi economica, le proteste e la scarsa partecipazione politica sono sintomatici di una precarietà socio-economica che rende l’Iran internamente vulnerabile, ma l’avanzamento in campo scientifico, il legame con il gruppo islamico sciita Hezbollah e il rinnovato supporto al regime di Assad hanno rafforzato la stretta di Teheran su tutta la regione. Nonostante la crisi causata dalla diffusione del Coronavirus, che conta già diverse morti in Iran, sembra aver messo in stallo le attuali tensioni, queste verranno con tutta probabilità riesumate con il placarsi dell’emergenza. Le ostilità tra i due governi, Iraniano e Statunitense e l’insofferenza del popolo iraniano nei confronti del suo governo e della comunità internazionale aprono le porte a diversi scenari che nei prossimi mesi terranno l’Iran al centro della cronaca internazionale. 

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