Sostenibilità

IL MERCATO DEL CARBONIO: LE ULTIME NOVITA’ DOPO LA COP26 DI GLASGOW.

IL MERCATO DEL CARBONIO CON IL PROTOCOLLO DI KYOTO (1997)

Il Protocollo di Kyoto rappresenta la prima fase di creazione del mercato del carbonio. Un sistema fatto di regole e meccanismi che consentono lo scambio di emissioni tra gli Stati. Secondo la logica del Protocollo, gli Stati più virtuosi, ovvero quelli che inquinano meno e rispettano  i target prefissati, devono compensare quelli che, invece, sforano i limiti o hanno bisogno di aiuto per non superarli. 

Secondo il Protocollo di Kyoto, tre erano i meccanismi che avrebbero dovuto regolare tale mercato e che coinvolgevano, inizialmente, solo i Paesi industrializzati. Il primo meccanismo era denominato Clean Development Mechanism (CDM). Avrebbe dovuto consentire alle aziende dei Paesi industrializzati, con vincoli di emissione, di realizzare progetti che riducessero le emissioni nei Paesi in via di sviluppo,  ottenendo i cosiddetti crediti di emissione (CERs). Gli altri due meccanismi – International Emissions Trading (IET) e Joint Implementation (JI) – interagivano reciprocamente. Da un lato, l’IET doveva funzionare come un sistema che consentisse lo scambio di crediti di emissione solo tra Paesi industrializzati. Dall’altro lato, IlJI avrebbe dovuto consentire alle imprese dei Paesi industrializzati, con vincoli di emissione, di rispettare in parte l’obbligo di riduzione delle emissioni finanziando progetti che riducessero tali emissioni in Stati dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti – gli Emission Reduction Units (ERUs) – congiuntamente con l’altro Paese coinvolto. 

IL MERCATO DEL CARBONIO CON GLI ACCORDI DI PARIGI (2015)

Tuttavia, i tre meccanismi implementati dal Protocollo di Kyoto non hanno funzionato come previsto. Il loro fallimento fu causato senz’altro da motivi funzionali, oltre al fatto che gli Stati trovarono modo di “aggirare” le regole dei meccanismi stessi. Fu, quindi, necessario intervenire per apportare delle modifiche. Il mercato del carbonio di Kyoto venne, quindi, modificato nel 2015 durante la Conferenza del Clima di Parigi, progetto che rientrò tra i mezzi essenziali per raggiungere sia l’obiettivo di mantenere la temperatura globale al di sotto di 1.5°C, sia per raggiungere la Carbon Neutrality entro il 2050. Tre furono i meccanismi delineati durante le trattative che avrebbero coinvolto anche i Paesi in via di sviluppo;questi trovano la loro base giuridica nell’Articolo 6 dell’ Accordo di Parigi. Questo articolo include sia meccanismi di mercato, sia meccanismi non di mercato, la cui logica di fondo contempla diversi percorsi di cooperazione sia fra i singoli Stati, sia con la regia delle Nazioni Unite, per creare progetti che accelerino l’assorbimento di emissioni, specie nei Paesi in via di sviluppo. In particolare, ai commi 2, 4, 8 dell’Articolo 6, erano stati delineati i tre meccanismi alla base del rinnovamento del mercato del carbonio ex-Kyoto. L’articolo 6.2 prevedeva un meccanismo di cooperazione, il quale riprendeva l’idea dei “risultati di mitigazione internazionalmente trasferiti”, ovvero di “crediti” guadagnati dagli Stati virtuosi e che avrebbero aiutato altri Stati (meno virtuosi) a raggiungere i loro obiettivi. Tali crediti erano denominati Internationally Transferred Mitigation Outcomes (ITMOs). L’art. 6.4. istituiva un meccanismo “di mercato” sotto la guida della Conferenza delle Parti, il cui scopo era quello di  contribuire alla riduzione delle emissioni e supportare lo sviluppo sostenibile, in sostituzione al meccanismo del CDM ex-Kyoto. Infine, l’art. 6.8 riconosceva l’importanza di un approccio “integrato, olistico e bilanciato”, attraverso “meccanismi non di mercato”. Questi meccanismi contemplano diversi percorsi di cooperazione attraverso i quali gli Stati possono interagire volontariamente allo scopo di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni, finanza, trasferimento tecnologico, condivisione delle conoscenze e sviluppo delle capacità. 

I LIMITI DEL MERCATO DEL CARBONIO DI PARIGI

Nonostante  l’Articolo 6 degli Accordi di Parigi aprisse nuovi orizzonti dopo i fallimenti di Kyoto, le ombre e i limiti non sono mancati. I principali punti da chiarire riguardarono , per esempio, la questione delle definizioni, l’Articolo 6, infatti, rimaneva ambiguo su diversi concetti, tra cui l’integrità ambientale; la governance e lo status giuridico della Conferenza delle Parti, che avrebbe dovuto regolare lo scambio dei crediti; la questione della contabilità ed in particolare la necessità di concordare una strategia per prevenire il fenomeno del doppio conteggio dei crediti di riduzione delle emissioni. Queste e altre questioni sono state al centro dei negoziati della Cop26 di Glasgow.

LE NOVITA’ DALLA COP 26 DI GLASGOW (2021)

Dopo la Conferenza di Parigi, sono stati lasciati ampi spazi di discussione sull’Articolo 6, motivo per cui sia alla Cop25 di Madrid sia alla Cop26 di Glasgow è stato necessario ritornare a riflettere congiuntamente sui meccanismi regolatori del mercato del carbonio. In particolare, a Glasgow, la discussione fra gli Stati è stata decisiva per rendere effettivamente operativo l’Accordo di Parigi e, in particolar modo, l’art. 6. Ciò ha incluso l’adozione di linee guida per rendere funzionanti gli approcci cooperativi secondo l’art. 6.2; le regole, modalità e procedure varie per i “meccanismi di mercato” secondo l’art. 6.4; e gli approcci non di mercato dell’art. 6.8. 

A Glasgow si è giunti anche alla risoluzione di alcuni punti ancora aperti dal 2015. Intanto, si è trovata una soluzione di compromesso, in quanto una parte dei crediti di Kyoto – solo quelli successivi al 2013 – potrà valere anche nel mercato del carbonio post-Glasgow. Inoltre, la Cop26 ha “risolto” la questione del doppio conteggio, ovvero le regole con cui gli Stati possono far valere i crediti nel bilancio dei loro contributi nazionali volontari (NDC), dichiarati ogni 5 anni alle Nazioni Unite. Nonostante ciò, sono rimaste delle ombre, in quanto dal testo del negoziato emerge il rischio di qualche “scappatoia” per gli Stati. Secondo il testo approvato, agli Stati viene imposto di effettuare degli aggiustamenti corrispondenti per tutti i loro crediti, ovvero devono dichiarare quale dei due Stati coinvolti è beneficiario della riduzione delle emissioni a cui si riferisce il credito. Con gli aggiustamenti corrispondenti si eviterebbe che questi crediti vengano fatti valere due volte sulle stesse quote presentandole anche in altri sistemi simili di compensazione delle emissioni (un esempio è il CORSIA, il programma dell’ONU adottato con lo scopo di aiutare le compagnie aeree a compensare le loro emissioni di carbonio). Tra le altre cose, sono stati bloccati i crediti derivanti dalla cosiddetta “deforestazione evitata”, generati dal sistema REDD+. Questo meccanismo è nato a seguito della COP di Bali nel 2007 che ha aperto alla possibilità di sviluppare nuovi meccanismi per incentivare la riduzione delle emissioni dovute alla deforestazione. Un ulteriore rischio di scappatoia per gli Stati potrebbe essere quello di camuffare i progetti compensativi in vigore sotto Kyoto nel rinnovato mercato del carbonio di Glasgow. Pare, tuttavia, che la Cop26 abbia preventivato questo rischio. Infatti, i vecchi progetti ex-Kyoto saranno differenziati da quelli post-Glasgow. 

COSA RIMANE INDIETRO?

La fine della Cop26 di Glasgow ha portato con sé anche alcuni dubbi e questioni non risolte. Per molti è stata considerata un fallimento, ben lontana dalle aspettative attese. In merito alla questione connessa al mercato del carbonio, non si è fatta chiarezza sui dubbi circa la compravendita di crediti su base volontaria che regolano il Voluntary Carbon Market (VCM). Il VCM è un mercato decentralizzato nato a partire dagli anni ’90, come forma di mercato indipendente. Gli attori privati acquistano e vendono volontariamente ed indipendentemente i crediti di carbonio ottenuti da progetti di riduzione di emissioni nell’atmosfera. Le iniziative sono, quindi, volontarie e libere, non regolamentate dai governi. È stato necessario discutere anche di questa forma di mercato durante la COP26 dato che il VCM è cresciuto rapidamente a partire dal 2017, sia in termini di volume che in termini di interesse degli attori coinvolti. Anche in questo mercato esiste la necessità di evitare il “doppio conteggio” e l’adozione di linee guida per il suo buon funzionamento. La speranza dietro alle decisioni adottate durante la Cop26 per dare piena attuazione all’Articolo 6 si basa sulla volontà a di impedire agli Stati qualsiasi tentativo di “manipolare” i vari meccanismi del mercato del carbone, come è effettivamente successo con il sistema ex-Kyoto, causa principale del suo fallimento. Sarà interessante valutare quanto avverrà durante la prossima conferenza globale sul clima che sarà organizzata in Egitto. Secondo quanto emerge dai primi comunicati, la prossima COP27 avrà proprio al centro la riduzione graduale dell’uso del carbone e la creazione di un nuovo mercato globale del carbonio, andando a colmare le lacune lasciate dalla COP di Glasgow. 

BIBLIOGRAFIA