La transizione ecologica ha inevitabilmente accelerato la necessità di ricorrere alla mobilità green.
Se si tiene conto esclusivamente degli ultimi due anni, il paragone tra il 2020 e il 2021 è significativo dell’incremento della mobilità elettrica e della conseguente richiesta di fonti di propulsioni alternative. Infatti, si è infatti passati da una vendita di 3.10 milioni di auto elettriche del 2020, a più del doppio nel 2021 (6.36 milioni).
Tuttavia, il cambiamento del settore della mobilità si lega inevitabilmente a un incremento dei ritmi di produzione del settore delle batterie. A tal proposito, nell’ultimo anno si è sentito parlare sempre più spesso della costruzione di “Giga-factory”: stabilimenti di grandissime dimensioni aventi come fine la produzione di batterie (principalmente a ioni di litio) e componenti per veicoli elettrici.
Le Giga factories
Cercando di analizzare più specificatamente l’argomento sorgono degli interrogativi riguardo alla costruzione e diffusione di questi grandi stabilimenti produttivi: la loro installazione può essere considerata una mossa strategica nel breve e medio termine, ma nel lungo periodo come può essere definita?
Se la costruzione di giga factory garantisce un’offerta nazionale parzialmente slegata dalle logiche dell’import, al contrario rischia di perdere il suo valore intrinseco nel momento in cui si raggiunga uno stadio in cui ogni Nazione possiede numerose fabbriche di questo tipo.
Subentra, dunque, una domanda più specifica: l’offerta di batterie rischierà di mettere a rischio la sostenibilità del modello produttivo? Questo può essere considerato un fenomeno apprezzabile se si tiene conto solo del risultato economico, dato da una maggiore accessibilità alle batterie (minor costo delle batterie si traduce in un minor costo delle auto). Ciò diviene meno confortante se tiene a mente la difficoltà (per alcuni prossima all’impossibilità) del riciclo delle batterie.
Attualmente le giga factory rappresentano il nuovo trend di costruzione nel vecchio continente. Addirittura, secondo quanto emerge da alcuni studi, le più grandi case automobilistiche starebbero già andando oltre agli obiettivi preposti dall’Unione Europea, ciò è sintomo di come l’offerta dell’unità in grado di far muovere le macchine a basse emissioni abbia già forti aspirazioni di crescita.
Se si prendono in considerazione dati riguardanti le sole celle di litio, la crescita attesa nel 2030 si attesterebbe a circa dieci o quindici volte il volume di produzione del 2020.
Volendo essere più precisi, secondo uno studio condotto da VDI/VDE Innovation, entro il 2030 vi sarà un incremento della produzione di celle di litio pari al 43% di quella attuale. Queste proiezioni sono in linea con le notizie di nuove aperture di gigafactory in Europa (ad oggi si contano 35 progetti circa i grandi stabilimenti di produzione di batterie).
In Italia, invece, abbiamo: la FAAM Center of Reasearch, compagnia attiva in questo campo; l’azienda Italvolt, che sta pianificando un ampliamento che la renderebbe la prima gigafactory italiana e infine Stellantis, vera e propria giga factory che verrà installata a Termoli.
Il nostro paese è dunque allineato con il trend dei maggiori stati europei che mirano a una forte indipendenza strategica, in termini geopolitici, dalle forniture asiatiche e americane.
Secondo lo studio citato precedentemente, se la produzione di macchine a propulsione elettrica dovesse rispettare la previsione fatta dalla Commissione europea, l’attuale offerta europea di batterie sarebbe già sufficiente dal 2023. Di conseguenza, da questo anno in poi la produzione delle batterie sarebbe in eccesso di oltre il 65% della domanda dei produttori di auto.
Dunque, il vantaggio comparato di possedere una gigafactory sul proprio territorio perde inevitabilmente di senso. Potrebbe non essere più conveniente investire un numero ingente di fondi per un prodotto che potrà essere definito come “comune”.
A tale problematica si aggiunge anche quella dell’incertezza sull’accessibilità alle materie prime necessarie per la produzione delle batterie, come cobalto, litio e grafite. Inoltre, lo smaltimento e il riutilizzo delle batterie rimane ancora un fattore critico del ciclo di vita di questi prodotti.
Riutilizzo e riciclo delle batterie
Secondo alcuni studi, l’utilizzo che viene fatto delle batterie durante il loro impiego nella mobilità civile, comporta una degradazione delle stesse di circa l’80%, ma, nonostante ciò, è possibile e pensabile una loro seconda vita.
Tuttavia, nel caso di un riutilizzo delle stesse, secondo altri studi, si assisterebbe a un loro rapidissimo degrado nel momento della seconda vita. Uno studio commissionato dalla Swedish Energy Agency sembra dimostrare il cosiddetto effetto ageing knee, ovvero un improvviso e accelerato degrado che rende inutilizzabili le batterie ai fini di accumulo e di supporto alla mobilità.
Tuttavia, non vi è ancora una letteratura in materia che possa definirsi sufficientemente attendibile, infatti le conoscenze degli effetti del riuso nel medio o lungo termine sono ancora parziali.
Dunque, per quanto concerne il riutilizzo, occorre attendere un periodo di tempo aggiuntivo per poter accedere a informazioni che possano definirsi attendibili.
Quando al contrario si parla di riciclo vi sono maggiori studi a disposizione e informazioni intorno alle quali formulare delle ipotesi.
Il riciclo si caratterizza di tre macro-processi: meccanico, pirometallurgico e idrometallurgico. Questi si differenziano nei metodi usati per il riciclo, ma spesso avviene che si combinino gli uni con gli altri.
In ogni caso, l’efficienza media che si nota prendendo in considerazione numerosi studi risulta essere alta. Ancora dalla Swedish Energy Agency vengono elencati venti studi nei quali l’efficienza nel riciclo del litio è pari al 100%; mentre nichel, cobalto e manganese presenterebbero una percentuale tra l’80 e il 99 per cento.
Inoltre, dalle stesse batterie utilizzate si possono riciclare anche dei singoli componenti: secondo la stessa agenzia, in alcuni studi è stato osservato come il 90% del litio venisse recuperato da vecchie fonti di energia e lo stesso risultato si è ottenuto circa l’estrazione del cobalto.
Arrivando all’inquinamento diretto che una batteria può generare a livello ambientale, non vi sono molti studi che prendano in considerazione l’intero processo di creazione della batteria e del suo smaltimento (diretto o dopo un secondo utilizzo). Ciò che, però, è stato notato è che il degrado della batteria ha effetti diretti sull’efficienza dei veicoli elettrici portando ad un aumento delle emissioni generate dagli stessi veicoli del 29%, prendendo in considerazione un arco temporale di dieci anni.
In conclusione, se la strada del riutilizzo appare ancora poco percorribile, il fenomeno del riciclo rappresenta un’opportunità presente e immediata per affrontare la transizione energetica in maniera sostenibile.
Per tale ragione, nonostante sia fondamentale poter contare sulla produzione nazionale di batterie, la scelta della costruzione di questi grandi stabilimenti potrebbe rivelarsi inappropriata a causa degli effetti a lungo periodo. Al contrario, ciò che sarebbe in grado di fornire un valore aggiunto al territorio e all’economia italiana, sarebbe un ingente investimento indirizzato allo sviluppo tecnologico del processo di riciclo delle batterie o delle parti che le compongono.