La richiesta sempre maggiore di risorse idriche è dettata da una serie di varianti: da una parte l’incremento demografico globale, dall’altra i cambiamenti climatici. La situazione è preoccupante se si considera che la maggiore richiesta idrica si concentra soprattutto in aree già colpite da una condizione di vulnerabilità. Statisticamente, queste aree sono anche quelle maggiormente interessate dagli effetti avversi del cambiamento climatico. Inoltre, è importante sottolineare che vi sono altri fattori di natura antropogenica (per esempio l’inquinamento delle acque, l’utilizzo massiccio di acqua per allevamenti e coltivazioni intensive, oltre che per un’enorme varietà di processi industriali) che contribuiscono ad aggravare la crisi idrica già presente al livello globale. Basti pensare che il volume d’acqua dolce rappresenta soltanto il 2,5% dell’acqua disponibile sul nostro pianeta. Di questa percentuale, quasi il 70% è costituito da acqua immagazzinata nei ghiacciai, mentre il restante 30% è composto da fiumi, laghi, falde acquifere etc.
In questo contesto di scarsità idrica, si inserisce la necessità di sviluppare ulteriormente delle tecnologie in grado di sfruttare l’abbondanza di acqua salata presente sulla superficie terrestre. Un esempio di questo tipo di strumento è rappresentato dalla dissalazione (o desalinizzazione) delle acque salate o salmastre: si tratta di un processo fisico/chimico (a seconda della tipologia di impianto preso in esame) il cui prodotto finale è acqua dolce adatta per l’uso domestico, agricolo o industriale. Questo processo, è già largamente impiegato in numerosi Paesi, come per esempio l’Arabia Saudita, Israele, Australia e California, nonché in piccoli Stati come Maldive, Bahamas che soddisfano la maggior parte del proprio fabbisogno idrico grazie ad essi, e permette di supplire, seppur parzialmente, al crescente fabbisogno di acqua al livello locale e mondiale.
Non tutti gli impianti di dissalazione sono uguali
Esistono due principali sistemi impiegati per la desalinizzazione delle acque salate o salmastre: la dissalazione evaporativa (o termica) e la dissalazione per osmosi inversa. Il primo di questi due metodi, più indicato per il trattamento di grandi volumi di acqua, è largamente utilizzato negli impianti di dissalazione presenti in Medio Oriente; esso presenta diverse varianti ma fa capo ad un principio generale: all’interno di questi impianti, l’acqua del mare viene raccolta in enormi serbatoi e viene scaldata fino al punto di evaporazione. Il vapore ottenuto, tramite una serie di passaggi e filtraggi in camere di raffreddamento progressive, si condensa sotto forma di acqua dolce che, a seconda delle esigenze, viene distribuita o stoccata. Nel metodo dell’osmosi inversa, invece, l’acqua salata viene spinta con una pressione molto elevata (70-80 atmosfere) contro delle membrane semipermeabili, le quali trattengono le componenti saline dell’acqua, facendo passare solo le molecole d’acqua ed altri pochi elementi.
In effetti, vista la crescente emergenza climatica in atto, viene quasi naturale domandarsi per quale motivo questa tecnologia, apparentemente in grado di risolvere numerosi problemi connessi alla mancanza di acqua dolce, non sia applicata su scala ben più ampia: si stima che in tutto il mondo ci siano poco più di 21,000 impianti di dissalazione delle acque, con la maggior parte di essi distribuita in Medio Oriente. Inoltre, stando al World Water Development Report del 2018, si stima che nel 2050, quando la popolazione umana dovrebbe attestarsi tra i 9,4 ed i 10,2 miliardi, il 57% delle persone presenti sul pianeta vivrà in aree con un accesso limitato alle risorse idriche necessarie per la propria sopravvivenza. Naturalmente, ciò andrà ad aggravare ulteriormente fenomeni di esodo en masse da queste aree, creando nuove rotte di migrazione climatica, con il potenziale di ripercussioni al livello regionale e mondiale.
Gli ostacoli da superare
Quali sono, dunque, gli ostacoli che pregiudicano un’adozione più estesa di questo tipo di tecnologia? Per prima cosa, occorre soffermarsi su un aspetto estremamente controverso, specialmente considerata la crescente attenzione della comunità internazionale verso il fenomeno della perdita della biodiversità. Entrambi i sistemi di dissalazione presi in esame in questo articolo, infatti, comportano dei rischi significativi per la biodiversità marina: durante il processo di dissalazione, gli impianti oltre a produrre acqua dolce, generano anche un’enorme quantità di scarti di lavorazione. Si stima in effetti che ad ogni litro d’acqua dolce prodotta, corrisponda ben un litro e mezzo di una sostanza ipersalina, denominata semplicemente “salamoia”. Normalmente gli impianti di dissalazione sono posti in prossimità del mare o comunque di bacini di acqua salata o salmastra. Pertanto nella maggior parte dei casi, la salamoia viene smaltita semplicemente tramite lo sversamento in bacini idrici alterando così le condizioni ambientali per la fauna e la flora marina. Infatti, lo sversamento della salamoia è in grado di aumentare esponenzialmente il livello di salinità delle acque costiere, causando effetti potenzialmente devastanti per le creature che lo abitano. Inoltre, sebbene la salamoia (in particolare quella risultante da processi di osmosi inversa) sia filtrata dei componenti chimici più dannosi, può contenere tracce di agenti pulenti, metalli pesanti e scorie di corrosione dei macchinari.
Oltre ai seri rischi ambientali, la dissalazione presenta un altro, serio problema. Questo processo, infatti, è estremamente energivoro: l’impianto ha bisogno di grandi quantità di calore ed energia per operare, la quale proviene spesso da fonti fossili. Si stima che gli impianti di dissalazione più avanzati dal punto di vista tecnologico necessitino di ben 4kWh per ogni litro d’acqua dolce prodotto. Ciò naturalmente si traduce anche in un costo molto elevato dell’acqua stessa.
Fortunatamente, esistono delle strade da intraprendere per cercare di minimizzare le attuali esternalità prodotte da questo processo, in attesa che la tecnologia progredisca abbastanza da eliminarle. Per quanto riguarda lo smaltimento della salamoia, si stanno sviluppando delle soluzioni per trasformare questo scarto in una risorsa preziosa da impiegare in diversi ambiti, come per esempio l’acquacoltura, e da sfruttare come “miniera” di Sali e metalli. Per quanto riguarda il problema del notevole consumo energetico degli impianti di dissalazione, invece, si stanno sviluppando soluzioni volte a limitare e possibilmente eliminare la dipendenza dai combustibili fossili.
Bibliografia