Sostenibilità

Una fonte di inquinamento sconosciuta: i detriti spaziali.

  1. La space junk: “genesi” e stato attuale

Il vasto e sconfinato orizzonte spaziale richiama sempre alla mente qualcosa di alquanto lontano, mistico, etereo, cinematografico [1] e persino oscuro, tanto da essere considerato – dal quivis de populo – come (quasi) irraggiungibile [2]. Dunque si tratta di un’entità astratta di cui non curarsi minimamente, escludendo aprioristicamente come anch’esso possa essere afflitto dai medesimi problemi riguardanti il pianeta Terra.

Se si considera il noto interesse e spirito di ricerca e scoperta umano, caratteristica essenziale e intrinseca per il progresso sociale [3], appare evidente come anche in questa dimensione vi siano problematiche (di ogni e varia sorta) di non scarsa rilevanza, che non sarebbe corretto (oltre che dannoso) non prendere in considerazione e valutare [4].

Una delle problematiche emersa in modo preponderante tanto nel presente quanto nel recente passato, riguarda certamente la c.d. spazzatura spaziale [5], composta da tanti piccoli (ma anche medio-grandi) detriti vaganti in orbita (c.d. space debris) [6] e prodotta dal – sempre più presente e costante – transito umano.

Prima di addentrarsi nel cuore del tema è importante comprendere meglio alcune questioni preliminari, illustrando brevemente la situazione odierna [7].

Lo spazio circostante e antistante, ad oggi, risulta affollato e trafficato, essendo presenti ben 2500 satelliti in piena attività, che transitano a circa 28000 km/h, unitamente a circa 3000 mezzi dismessi, da cui si sono originati addirittura 34000 pezzi di dimensioni superiori ai dieci centimetri.

I frammenti meno spessi e “ingombranti”, da 1 a 10 centimetri, a differenza dei precedenti superano di slancio le 900000 unità, sfiorando la quota del milione, e certamente destinati ad aumentare [8].

È noto  come circa la metà di questa immensa congerie di rifiuti spaziali sia stata prodotta da due eventi distruttivi: il primo, avvenuto nel 2007 (prodotto di una prova missilistica cinese), il secondo nel 2009, frutto di una collisione tra un satellite della costellazione Iridium e uno militare Russo (denominato Kosmos).

Quello che preoccupa maggiormente è la loro scarsa “controllabilità”, in quanto “solamente” il 70% dei suddetti detriti può essere individuata precisamente; contrariamente, invece, quelli più “tangibili” [9] sono geolocalizzabili e di conseguenza più gestibili [10].

Dunque, il quadro attuale [11], con  le sue potenziali conseguenze, è tutto tranne che privo di criticità e preoccupazioni [12], tanto da un punto di vista geopolitico [13], quanto giuridico e della sostenibilità ambientale [14].

  1. Alcune possibili soluzioni: tra crescente attenzione e maggiore sensibilità

Di recente la questione è diventata di stretta attualità: in quanto un booster di nazionalità cinese [15] (Lunga Marcia) è stato oggetto di grande interesse da parte dei media nazionali, poiché si temeva che alcuni dei suoi frammenti [16] potessero precipitare pericolosamente senza controllo sul nostro Paese.

Fortunatamente il pericolo è stato scongiurato, quando, nei giorni scorsi, è rientrato  nell’atmosfera, in concomitanza dell’Oceano Indiano, in un’area adiacente alle Isole Maldive.

Ora, posta la serietà e l’importanza di quanto detto, appare imprescindibile individuare soluzioni reali e concrete, in grado di ridimensionare e controllare, sotto ogni punto di vista, la questione discussa. A fronte di questa presa di coscienza, e dell’impellenza indifferibile, l’ESA (European Space Agency) ha recentemente stipulato un contratto del valore di 86 milioni di euro con una startup svizzera (ClearSpace) per la rimozione dei detriti, grazie all’entrata in funzione, entro il 2025, di un robot all’uopo deputato.

Si tratta, in sostanza, del primo “spazzino spaziale” europeo privato, i cui finanziamenti per la realizzazione sono stati erogati da imprese svizzere, ceche, tedesche, svedesi, polacche, portoghesi, rumene e anglosassoni. 

È stato reso noto che  una prima missione di pulizia (c.d. ClearSpace-1) sarà lanciata tra circa cinque anni per raccogliere e recuperare la parte superiore di un adattatore chiamato “Vespa”, lanciato da “Vega”, e in orbita dall’anno 2013 [17].

Grazie a questo servizio, in futuro, sarà possibile raccogliere più “immondizia spaziale” contemporaneamente, ponendo il dispositivo “pulisci spazio” prima a una distanza orbitale di 500 km, per lo svolgimento dei test critici e per la sua messa in funzione, per poi aumentare sempre di più il suo raggio d’azione.

Insomma, la pulizia dell’orbita è certamente necessaria, oltre che dovuta, altrimenti non sarebbe possibile lo svolgimento di nuove missioni spaziali. A causa di un inquinamento intollerabile di questa dimensione, si rischierebbero anche delle ripercussioni negative sulla Terra; certamente, device come quelli descritti possono rappresentare un importante mezzo e strumento per la risoluzione della questione.

  1. Brevi rilevazioni conclusive

Alcuni ricercatori dell’Università del Colorado, in seguito ad attente e dettagliate ricerche e analisi economiche, hanno individuato una possibile ed efficace soluzione: il pagamento di un vero e proprio tributo annuale [18] da parte di ogni Agenzia Spaziale, per ognuno dei satelliti lanciati in orbita.

Ciò in ragione del fatto che lo spazio è una risorsa comune, e i vari operatori non tengono conto del costo che i loro satelliti impongono agli altri quando decidono se lanciarlo ovvero no. 

In questo modo si pensa di poter instaurare una politica che consenta ai player satellitari di considerare i costi che i loro lanci impongono ai soggetti interessati.

Allo stato attuale, sembra che le modalità di intervento utilizzate, gestionali, manageriali, tecnico-ingegneristiche [19], non possano risolvere qualcosa di così problematico.

In conclusione, nel modello elaborato da questi illustri economisti, ciò che è rilevante è il presupposto della “tassa”, dato dal fatto che gli operatori corrispondano una somma di danaro per il rischio di collisione imposto agli altri. Ciò è senza dubbio destinato ad aumentare nel tempo e progressivamente, in quanto dovrà tenere conto del maggior valore di orbite sempre più pulite e libere.

Più specificamente, la tariffa,  con i loro calcoli e previsioni statistiche, dovrebbe aumentare di un 14% in ragione di anno, fino a raggiungere i circa 235000 $ per satellite entro il 2040. 

Si tratta sicuramente di un’interessante proposta risolutiva, da prendere in considerazione per fronteggiare il problema che, non solo alla luce dei recentissimi eventi, sta diventando sempre più reale, e perciò non più rinviabile. 

Non  solo i singoli Stati dovranno svolgere un ruolo fondamentale con scelte politico-legislative da attuare a stretto giro, ma rivestiranno un ruolo fondamentale anche le organizzazioni sovranazionali,  le varie agenzie a ciò collegate [20] e gli imprenditori privati.

Fonti:

[1] Cfr. S. DI GREGORIO, L’uomo e lo spazio tra cinema e realtà, in ecointernazionale.com, aprile 2021. 

[2] Sul rapporto tra uomo e spazio, sulla sua importanza e sulle varie missioni orbitali succedutesi nel tempo e future, v. E. INTINI, Sette missioni umane nello spazio per il prossimo decennio, in Focus, novembre 2016 e I.D., Dieci ragioni per sostenere l’esplorazione spaziale, in Focus, febbraio 2015.

[3] E per le più importanti esplorazioni e scoperte tecnico-scientifiche, tra cui rientrano certamente a pieno titolo le missioni spaziali.

[4] V. – ex plurimis – F. SALVATORE, Perché la spazzatura spaziale è un problema geopolitico, in insideover.com, maggio 2021 e R. DI PALMA, Il problema dei detriti spaziali: stato attuale, prospettive e tecnologie, astronautinews.it, giugno 2020.

[5] Non può non essere oggetto di grande interesse e “allerta” anche la salvaguardia del sistema ecologico che circonda l’ambiente in cui abitiamo.

[6] In gergo tecnico, MMOD (Micrometeroids and Orbital Debris).

[7] Portando all’attenzione qualche dato.

[8] Si stima addirittura come quelli di dimensione inferiore al centimetro siano più di 128 milioni.

[9] Di dimensioni superiori ai cinque centimetri.

[10] Mediante la tecnica “radar”, che permette di inviare un impulso di microonde verso un detrito, permettendone la rilevazione grazie all’”eco”. Così facendo se ne può calcolare la distanza, e grazie all’effetto “Doppler”, la sua velocità di movimento.

[11] Si crede che in orbita vi siano circa 8800 tonnellate di rifiuti spaziali.

[12] Che verranno valutate nel prosieguo della presente trattazione.

[13] V. F. SALVATORE, op. ult. cit.

[14] Cfr. REDAZIONE, Crescono i detriti spaziali, le contromisure non bastano, in Ansa, ottobre 2020.

[15] Il secondo stadio del razzo.

[16] Melius: detriti.

[17] Manovrandolo fino a quando non sarà uscito dall’orbita, facendo ardere e distruggere il detrito nell’atmosfera.

[18] Non una tariffa per il lancio.

[19] Ad esempio, la rimozione degli stessi, come prospettato poc’anzi (vedi paragrafo precedente) può finanche incentivare il lancio di nuovi satelliti, congestionando ancor di più la via spaziale (bassa), rischiando ulteriori collisioni e quindi maggiori detriti e costi.

[20] Tra cui la già citata ESA.