Sostenibilità

Quanto inquina Internet?

Era il 2017 quando Despacito apparve su YouTube. Da quel momento, la hit mondiale ci ha fatto ballare (e perseguitato) per tanto tempo, totalizzando quasi sette miliardi di visualizzazioni. Una canzone da record, insomma, anche per il suo impatto ambientale, paragonato dal Financial Times alle emissioni annuali di 100.000 taxi. Lo stesso principio, seppure in scala ridotta, si applica all’uso quotidiano di internet, diventato ormai una presenza costante nelle nostre vite.

Secondo Cleanfox, un messaggio di posta elettronica senza allegati produce 10 g di CO2. Utilizzare Netflix per un’ora varia da 56 a 104 g di anidride carbonica in relazione al dispositivo utilizzato, dato che un cellulare in media consuma meno energia di un televisore. La cifra si abbassa a 0.2 g per una singola ricerca su Google, stando ai dati diffusi dal colosso di Mountain View e ripresi dalla BBC. Questi numeri, individualmente considerati, sono molto più bassi rispetto alle emissioni di un’automobile, che si aggira attorno ai 400 g di CO2 per ogni miglio. Tuttavia, le principali piattaforme digitali contano centinaia di milioni, se non miliardi, di utenti. Con una base di consumatori così sviluppata ed in continua crescita, il rapporto tra web ed inquinamento non potrà che diventare sempre più importante.

Qual è la causa?

In due parole: data center. Ogni servizio di messaggistica, applicazione mobile o motore di ricerca funziona grazie ad infrastrutture fisiche composte da server che conservano informazioni e forniscono la potenza di calcolo necessaria per sostenere i programmi informatici. Tali strumenti sono particolarmente sensibili al surriscaldamento e, quindi, richiedono un flusso costante di energia per tenere la temperatura sotto controllo ed operare correttamente. Per risolvere il problema, molte società stanno investendo in territori con clima rigido come l’Europa scandinava. Un rapporto del Consiglio Nordico stima infatti tra 2 e 4 miliardi di euro annui il giro d’affari derivante dalla costruzione di data center nella regione entro il 2025.

Non tutti possono avvalersi di questa possibilità. I centri dati pubblici stanno aumentando, e stando alla International Data Corporation potrebbero arrivare a fornire il 50% dei servizi in cloud tra cinque anni. Risulta però difficile pensare che i server nazionali siano delocalizzati, a causa della necessità di proteggere le informazioni conservate. Di conseguenza, un ruolo centrale è giocato dai meccanismi di approvvigionamento energetici impiegati dai singoli paesi, e non solo. Le scelte degli operatori contano, in quanto influiscono direttamente sulla salute del pianeta. Andiamo allora a vederle più da vicino.

Cosa stanno facendo le big four

Google è stata una delle prime aziende a scommettere sul futuro verde della tecnologia. Nel 2017 ha raggiunto la neutralità carbonica per quanto riguarda il consumo di elettricità e, recentemente, ha annunciato nuovi acquisti di energia eolica e solare da siti negli USA, nel Cile e nell’Europa. Inoltre, la compagnia è parte dell’associazione europea RE-source, che riunisce attori economici impegnati nello sviluppo di energia pulita ed è supportata dalla Commissione Europea.

Le emissioni di Apple hanno invece raggiunto un picco nel 2015 e, da quel momento, si sono ridotte del 35%, stando agli ultimi dati disponibili. La società di Cupertino sostiene anche i fornitori -molti dei quali si concentrano in Cina – ad investire in energia pulita.

Facebook punta invece a sostenere i propri centri dati con risorse al 100% rinnovabili entro la fine del 2020. In aggiunta, il social network si focalizza sull’innovazione dei sistemi di raffreddamento ed il risparmio idrico.

Amazon ha preso posizione per ultimo sulla questione ambientale, ma lo ha fatto in grande stile. In febbraio, l’amministratore delegato Jeff Bezos ha annunciato una donazione di 10 miliardi di dollari ad un fondo omonimo per la protezione del pianeta, mentre Amazon ha dichiarato di voler raggiungere emissioni zero entro il 2040, dieci anni prima della scadenza indicata dal Trattato di Parigi. Per il momento, è stata pubblicata una lista degli indicatori e dei modelli usati per tracciare l’evoluzione del progetto, ma non è ancora chiaro quali misure verranno adottate per raggiungere il traguardo strategico. Il fatto che queste imprese siano così attive in tema della salvaguardia ambientale si può spiegare anche attraverso valutazioni economiche. Il controllo diretto dell’energia utilizzata limita l’esposizione alle fluttuazioni del mercato internazionale dei combustibili fossili, garantendo prezzi costanti e, possibilmente, più bassi col passare del tempo.

Rimane però un importante punto interrogativo. La maggior parte delle iniziative si concentra sull’acquisizione di quote di energia rinnovabile, mentre solo una piccola componente è destinata alla creazione di nuovi impianti. Quest’ultimo tipo di investimenti è essenziale per aumentare la sostenibilità delle attività umane, e sarà quindi interessante vedere come si comporteranno le piattaforme su questo fronte nel prossimo futuro. Intanto, in Europa qualcosa sta cambiando – e potrebbe avere profonde conseguenze.

Il ruolo dell’Unione Europea

Lo scorso febbraio, la Commissione Europea ha presentato la strategia per il futuro digitale dell’Unione. Il documento contiene input legislativi su temi come l’intelligenza artificiale, la privacy e nuove tasse per i giganti della tecnologia. Ma fissa anche un ambizioso traguardo in tema di lotta all’inquinamento, perché richiede che i data center raggiungano la neutralità climatica entro il 2030. Rimane da vedere se saranno proposti strumenti legislativi specifici, o se la Commissione sfrutterà la revisione degli obiettivi dell’agenda sul clima, fissata al prossimo settembre, per sviluppare una normativa di più ampio respiro e focalizzata sul dimezzamento delle emissioni entro dieci anni. In un’altra pubblicazione strategica, la Commissione ha annunciato il principio della energy efficiency first che guiderà il periodo di transizione verso un sistema energetico a basso impatto ambientale. Ciò porterebbe ad un’integrazione sempre più ampia delle risorse rinnovabili, con ripercussioni indirette anche sull’impronta di carbonio dei data center.

D’altra parte, non mancherebbero nemmeno i mezzi economici. Il Consiglio dell’UE ed il Parlamento Europeo hanno raggiunto un accordo per stanziare 100 miliardi di euro nel programma Horizon Europe, per finanziare ricerca e sviluppo anche nell’ambito del Green New Deal. Tuttavia, la somma finale è ancora soggetta a cambiamenti, a causa delle negoziazioni sul budget pluriennale dell’Unione, rese molto più complesse dalla crisi legata al COVID-19. Sembrano quindi esserci ottime condizioni di partenza per rendere internet più sostenibile nel medio termine.

L’incognita principale sarà la volontà politica di adottare soluzioni incisive al momento di scrivere le leggi. E, forse, ascoltare una canzone nel 2030 inquinerà meno di oggi.

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