Economia

Il capitale umano

Cosa si intende per capitale umano?

Il capitale umano, spesso non compreso nelle piccole imprese e talvolta sottovalutato nel settore pubblico è un’espressione per definire l’insieme delle capacità individuali che un soggetto apporta all’interno della propria organizzazione, quali: impegno, capacità di leadership, intelligenza, motivazione ecc. Il termine venne utilizzato per la prima volta dall’economista statunitense Theodore Schultz, premio Nobel per l’economia nel 1979 per le ricerche pionieristiche nello studio dello sviluppo economico, con particolare riguardo alle problematiche dei paesi in via di sviluppo. Partendo da un semplice esempio, l’importanza del capitale umano è visibile confrontando due imprese operanti nello stesso settore, con stesse dimensioni, tecnologia, medesime attrezzature e mezzi finanziari, che conseguono risultati differenti in termini di qualità della produzione, vendite e profitto. Questo può essere in larga parte ascrivibile alla differente qualità del personale, sul quale una delle due aziende ha investito maggiormente, con il fine di migliorare le performance individuali dei propri dipendenti. Nella stragrande maggioranza dei casi, un personale competente risulta essere la chiave del successo di un’azienda, rispetto ad altri competitors non in grado di percepire l’importanza dell’organico nella creazione di valore. Nel sistema aziendale e più in generale nella società odierna, sempre più smart, risulta fondamentale primeggiare in tale ambito. Basti pensare che circa il 70% del valore di mercato di un’azienda di grandi dimensioni è rappresentato proprio dal capitale umano, asset intangibile.

Investire in capitale umano conviene?

Per poter rispondere, occorre individuare i possibili vantaggi per un’azienda che investe tempo e risorse nella valorizzazione del proprio capitale umano; Tra questi spiccano:

  • Aumento della produttività: avere delle risorse competenti in ogni ambito aziendale genera una corrente positiva, in grado di condizionare il prodotto finale. Ciò ha effetto sia sui clienti potenziali che sui clienti attuali, i quali percepiranno un miglioramento del prodotto che porterà ad un aumento della loro soddisfazione, ed oltre tutto ad un incremento degli ordini effettuati. Inoltre, attraverso tali migliorie, l’azienda potrà allargare la propria rete di vendita immettendosi in mercati finora inesplorati;
  • Miglioramento delle performance economiche: l’aumento della produttività comporta inevitabilmente sia l’incremento dei ricavi che l’abbassamento dei costi, dovuti ad una migliore efficienza nella combinazione dei fattori produttivi e frutto delle nuove capacità e conoscenze acquisite da tutti gli addetti ai lavori, che siano dirigenti o operai. È qui che si vince la partita giocata contro i competitors: più ampia sarà la forbice che l’impresa sarà in grado di creare tra ricavi e costi operativi, cioè direttamente imputabili all’attività di impresa, a seguito dell’innovazione, maggiore sarà la sua capacità di coprire le restanti voci di costo permettendo di giungere ad un risultato d’esercizio positivo.
  • Processo decisionale più snello ed efficace:  avere un management costantemente aggiornato circa i diversi fattori che più influiscono sull’azienda in esame, porta la discussione, prima di una qualsiasi decisione, ad un livello più alto, permettendo di effettuare una disamina più ampia, ponderando al meglio scelte e conseguenze.

A giudicare dai molti vantaggi, e dagli svantaggi pressoché nulli, se non per quanto riguarda l’elevato costo che tale sviluppo comporta, la risposta risulta scontata. Giunti a questo punto della discussione ci si chiede: “Perché molte aziende non puntano sullo sviluppo del capitale umano?”. Il tessuto aziendale italiano è formato al 96% da micro-piccole imprese con al massimo 5-10 dipendenti, spesso uniti da legami di parentela. In una realtà come la nostra convincere un imprenditore ad investire ingenti somme in corsi per il personale non risulta un’impresa facile, perché un piccolo imprenditore mira ad un beneficio immediato piuttosto che a sacrificare qualcosa oggi per ottenere maggiori ritorni nel lungo periodo, ritorni che ad oggi gli sembreranno astratti.

Come stimarlo?

Un’impresa che ottiene risultati migliori vale ovviamente di più e questo maggior valore deve essere rilevato in fase di cessione a terzi, dell’intero sistema aziendale. Il valore del capitale umano però non è evidenziato in bilancio, e qui ci si pone il problema di identificarlo ai fini di una corretta valutazione in fase di cessione. Il metodo che più si addice alla realtà operativa italiana risulta essere quello idealizzato da Zanda-Lacchini. In tale modello il valore del capitale umano varia da un minimo di 0.33 ad un massimo di 2.5 volte il costo complessivo annuo del lavoro. A questo punto risulta evidente come il problema sia quale valore attribuire al moltiplicatore. Il perito chiamato a valutare il capitale umano dovrà tener conto, nella scelta di tale moltiplicatore, di 3 fattori: profilo tecnologico, scientifico e gestionale dell’impresa da valutare. In altre parole, se l’azienda è molto sviluppata tecnologicamente, investe molto in ricerca ed ha una gestione ottimale di tutto il processo produttivo, il moltiplicatore tenderà verso 2.5, con ovvio innalzamento del valore del capitale umano.

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La valutazione delle aziende, di G. Zanda e M. Lacchini.

Le metodologie di stima sono molteplici e pertanto va detto che la dottrina non privilegia un metodo in particolare, in quanto gli esiti evidenziati da ogni tecnica applicata risultano molto discostanti l’uno dall’altro. Per un’analisi più esaustiva si renderà necessario confrontare i diversi risultati ottenuti con altrettante tecniche valutative e successivamente individuare un valore medio.

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