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Fede e politica: un binomio nefasto

C’era un tempo in cui, in Italia, la religione aveva una certa importanza. Un tempo, nemmeno chissà quanto lontano, in cui la religione era un elemento imprescindibile nella quotidianità di un cittadino italiano. Un tempo, nemmeno chissà quanto lontano, in cui la morale cattolica si fondeva pressoché totalmente con l’etica dello Stato. Un tempo in cui la religione imponeva ai fedeli rispetto e riserbo. Perché tutto ciò era il frutto inevitabile di un percorso millenario della Storia, stante l’innegabile influenza che il Cristianesimo, e poi il Cattolicesimo, hanno avuto sulle tradizioni della Penisola. 

Ogni italiano, dalla nascita, entrava in contatto con la religione, sia pur contro la sua volontà. Una religione che c’era (e c’è tutt’ora) per le strade, con le sue chiese ed i suoi campanili; una religione che c’era (e c’è tutt’ora) nel linguaggio, Oh Madre Santissima! Oh Signore! Gesummaria! una religione che c’era (e c’è tutt’ora) nella scuola e nelle feste, con le sue recite, le sue processioni, le sue sagre, i suoi presepi; una religione che c’era (e c’è tutt’ora) nel Canto e nelle Arti, con le sue melodie, i suoi dipinti e le sue sculture.

Una realtà che nemmeno la laicità dello Stato è riuscita mai a scalfire, perché l’Identità di un popolo non può essere frenata o osteggiata da qualsivoglia legge. Ma decenni sono passati ed anche la Chiesa Cattolica ha perso terreno. Gli scandali del Vaticano e la crescente fiducia nella Scienza e nelle sue invenzioni, hanno intaccato questa realtà su descritta, nonché certi dogmi che, sempre in Italia, sembravano adamantini.

Fedeli ed elettori, due categorie da non sovrapporre

In questo contesto, tuttavia, la politica italiana non ha mai sentito la necessità di servirsi della fede degli italiani per carpirne il consenso, per due ordini di motivi dotati di medesima dignità: rispetto per il Papa e le altre religioni, rispetto per la Cosa Pubblica che ha sempre richiesto la neutralità istituzionale per garantire l’assenza di condizionamenti ed influenze esterne. 

Come un vento dimenticato da secoli e che all’improvviso torna a soffiare, così la religione torna ad essere attuale nel panorama politico italiano. Infatti è noto, oramai, l’uso che Matteo Salvini, senatore della Repubblica, Leader di partito e già Ministro degli Interni, fa dei simboli religiosi e della fede cristiana. Tra lo sbandierare i rosari nelle piazze, il pubblicare varie foto in ginocchio ai piedi dei sacri altari, il condividere le immagini di Madonne e Santi sulle sue pagine social, si è attirato non solo le ire della Santa Sede e dei fedeli più attenti (che non accettano alcun abuso del Divino ai fini di un tornaconto elettorale), ma anche quelle di cittadini di diverse religioni, nonché atei ed agnostici. 

Chi non ricorda l’espressione con la quale il senatore ha chiuso la campagna politica per le europee: “Affido l’Europa ai Santi e l’Italia al cuore immacolato di Maria”? Per un attimo si è pensato di doverlo chiamare Sua Santità, Vescovo di Roma, Papa della Chiesa Cattolica qui sibi nomen imposuit: Matthaeus I.

Un dialogo muto

La fede è un sentimento molto intimo, il più intimo tra tutti i sentimenti, per cui non si capisce per quale necessità debba essere inserita, prepotentemente, nel contesto politico. C’è un dialogo muto tra l’Io, l’anima ed il Trascendente. Un dialogo muto connotato da riserbo e pudore, da silenzio e meditazione, che non necessita di interferenze. Non può essere, ancora, nel ventunesimo secolo, usata come tecnica di captazione del consenso: non è corretto, non è sano e, soprattutto, è pericoloso.

La fede va tenuta lontana dalla politica, chi ha studiato Storia lo sa. Quando la fede è entrata nella politica ha smesso di essere un sentimento, per diventare una convinzione, un’ideologia, un istinto di supremazia antica, anzi primitiva. Si è trasformata in dolore, in sofferenza, in morte, in distruzione, in tragedia. Si è trasformata nelle Crociate e nella battaglia di Poitiers, nel Tribunale della Santa Inquisizione ed in altre barbare persecuzioni, nella Guerra dei Trent’anni e nella Shoah.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

Non bisogna commettere gli errori del passato, occorre tenere fermo a mente che quando la religione diventa un affare dello Stato, una bandiera dei rappresentanti politici, la Storia insegna che non ha mai portato bene.  Che piaccia o no, la religione nel secolo della globalizzazione è diventato un argomento divisivo e allora bisogna solo abbandonare ulteriori divisioni, in una società già così tristemente frammentata.

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