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Due sfide per l’Italia: digital divide e rete unica

Negli ultimi mesi, a seguito dell’emergenza “Sars-Cov-2”, il tema della digitalizzazione è stato – e continua ad essere – tra i più discussi nell’agenda politica europea ed italiana. Di fatto, uno dei pilastri della Commissione Von der Leyen è appunto la transizione green e digitale tramite un programma pan-europeo finanziato dal Recovery fund; anche sulla base dei fondi che arriveranno da Bruxelles l’Italia sta costruendo la sua strategia verso la transizione digitale (infatti, il 20% del Recovery Plan, dovrà finanziare investimenti rivolti alla transizione digitale).

Guardando nello specifico al caso italiano, vediamo come il Belpaese rientra tra gli Stati membri UE in cui le infrastrutture digitali sono meno sviluppate, posizionandosi, in termini di “digitalizzazione”, al 25esimo posto del Digital Economy and Society Index (DESI). 

indice di digitalizzazione nel 2020

Il DESI è un indice composito, pubblicato annualmente dalla Commissione Europea, che rileva lo stato dell’arte ed i progressi compiuti in termini di digitalizzazione dell’economia e della società negli Stati membri UE attraverso 5 macro indicatori: 1) Connettività; 2) Capitale umano; 3) Uso dei servizi internet; 4) Integrazione delle tecnologie digitali; 5) Servizi pubblici digitali, pubblicato a giugno 2020.

Continuando a focalizzarci sui parametri DESI, per quel che riguarda le competenze digitali della popolazione, l’Italia si attesta addirittura all’ultimo posto dell’UE-28.

competenze digitali in italia

Possiamo affermare, quindi, che il dibattito interno in Italia si concentra su due elementi chiave: 

Il digital divide, in particolare in relazione al problema della scarsità delle competenze digitali dei cittadini, evidenzia una delle marcate differenze nella popolazione italiana, tra chi può essere definito come “qualificato” e chi “per nulla qualificato”, ossia coloro per i quali risultano essenziali dei percorsi di formazione al fine di colmare il gap con la media europea tramite, ad esempio, il programma Repubblica digitale. Questa iniziativa fa parte della più ampia strategia per l’innovazione e la trasformazione digitale del paese – Italia 2025  del Ministero per l’innovazione tecnologica e digitale, al fine di favorire la cosiddetta “inclusione digitale”.

Per arrivare all’obiettivo dell’inclusione digitale, non è sufficiente avviare programmi, quali Italia 2025 e stanziare i fondi, ma è essenziale sollecitare e coinvolgere tutti gli attori istituzionali, come regioni ed enti locali e le stesse associazioni della società civile, al fine di raggiungere una fetta più ampia possibile della popolazione italiana, soprattutto coloro i quali si trovano ai margini della società. 

In tal senso, nel mese di luglio è stata pubblicata la “Strategia nazionale per le competenze digitali” che – fortunatamente – “è il risultato di un approccio collaborativo che ha messo sullo stesso tavolo Ministeri, Regioni, Province, Comuni, Università, istituti di ricerca, imprese, professionisti, Rai, associazioni e varie articolazioni del settore pubblico” (come si evince dal comunicato del MID). Questa strategia, vede quattro aree di intervento coinvolte: istruzione e formazione superiore, forza lavoro attiva, competenze specialistiche ICT e cittadini, con l’obiettivo di ridurre i divari sia all’interno del tessuto nazionale che con gli altri paesi dell’Unione.
Sempre attraverso il rapporto DESI, inoltre, possiamo notare come la maggior parte degli italiani fa un uso di internet finalizzato principalmente a scopi ludico-ricreativi, mentre seguire corsi online e/o vendere online sono tra quelle attività definite “meno diffuse”. La conseguenza è che il divario tra l’Italia e gli altri paesi UE sta aumentando sempre di più nel settore del commercio elettronico, infatti, secondo i dati del DESI, solo il 10% delle PMI italiane vende online (mentre la media UE è del 18%).

vendite online in Italia

Anche per quanto riguarda l’utilizzo dei servizi pubblici digitali (e-government) come evidenziato nell’ultimo capitolo del rapporto DESI l’Italia si colloca al di sotto della media UE, nonostante l’offerta dei servizi digitali da parte della Pubblica Amministrazione italiana sia piuttosto variegata ed addirittura  al di sopra della media UE.

Inoltre, anche il report  “Skills Outlook 2019- Thriving in a Digital World” dell’OCSE, il quale valuta in che misura gli Stati sono capaci di “sfruttare la digitalizzazione”, inserisce l’Italia in quel gruppo di paesi “con il ritardo digitale più consistente” insieme a Grecia, Turchia e Cile. 

Le due ragioni principali per questo ritardo sono: percorsi di formazione assenti o deficitari (almeno fino ad oggi) per la popolazione attiva ed il nodo infrastrutturale, che trattiamo di seguito.

L’altro elemento chiave al centro del dibattito italiano, riguarda l’infrastruttura digitale e la proposta della Rete Unica per colmare il ritardo strutturale dell’Italia.
In tal senso, ad inizio settembre TIM con Cassa Depositi e Prestiti hanno siglato un MOU per costituire la società che dovrebbe creare la rete unica, e favorire lo sviluppo della banda ultra larga. Anche il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha più volte ribadito l’importanza di una rete unica come “un’infrastruttura fondamentale per la ripresa del Paese”.

Come evidenziato dal think tank Tortuga, molti esperti del settore sostengono che per favorire ed accelerare il processo di digitalizzazione del paese si “debbano unificare tutte le reti esistenti in unico soggetto per unire gli sforzi”. Tutto ciò, al  fine di evitare quelle criticità della concorrenza infrastrutturale quali: 

  1. duplicazione degli investimenti;
  2. concentrazione degli investimenti nelle aree più sviluppate lasciando “scoperte” le aree rurali in cui i margini di profitto sarebbero così bassi da non giustificare l’investimento stesso.

La soluzione della rete unica è stata più volte tenuta in considerazione, la prima volta nel 2006 quando fu proposto a Romano Prodi lo scorporo della rete di Tim, come sottolinea un articolo di formiche.net. 

Oggi, dopo diversi tentativi, questo progetto potrebbe finalmente realizzarsi. Infatti, TIM sta procedendo allo scorporo della propria rete istituendo una nuova società – FiberCop – al fine di favorire la fusione con OpenFiber (società creata nel 2015 e controllata da Enel per espandere la rete della fibra ottica in Italia specie nelle “aree bianche”), per gestire la rete unica italiana attraverso una nuova società che dovrebbe prendere il nome di AccessCO. Lo scorporo della rete di TIM ha l’obiettivo di “separare l’infrastruttura Telecom dalle altre attività dell’azienda” per garantire quella neutralità essenziale nella gestione delle rete ed evitare vantaggi competitivi di TIM (come possiamo vedere di seguito). Il capitale di questa società dovrebbe essere gestito per il 50,1% da Tim ed il resto da CDP tramite dei principi di governance condivisi a cui dovrebbero aggiungersi dei patti parasociali come “garanzia” al ruolo di CDP in relazione alla maggioranza delle azioni detenute da TIM. 

Anche su questa prospettiva Tortuga ha analizzato le possibili criticità:

  1. Possibili condotte anticompetitive da parte di TIM;
  2. Decisioni di investimento influenzate da considerazioni strategiche per il mercato dei servizi  volte a favorire TIM;
  3. L’assenza di competizione potrebbe incentivare TIM a ritardare la dismissione della propria infrastruttura in rame, danneggiando i consumatori.

Il problema principale di questa opzione è quello di un possibile intervento da parte di AGCM, la quale ha un “potere di veto” sull’operazione, in quanto attraverso la fusione di OpenFiber con le reti Tim si creerebbe nuovamente un monopolio della rete.  Tuttavia, nei giorni  scorsi  l’AGCOM, a seguito di un l’analisi preliminare, ha ammesso il progetto “a un vaglio più approfondito nell’ambito dell’analisi coordinata dei mercati dell’accesso” facendo presagire un certo ottimismo tra le parti interessate per la buona riuscita del progetto.

In conclusione, possiamo affermare che l’Italia è attualmente “un cantiere in corso” verso la digitalizzazione infrastrutturale del territorio nazionale ed altresì per la formazione dei cittadini. L’auspicio è che – almeno stavolta – il “cantiere in corso” non venga bloccato, ma piuttosto venga accelerato per raggiungere lo sviluppo di paesi quali Francia e Germania.


Sitografia:
https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/scoreboard/italy
https://www.oecd.org/italy/Skills-Outlook-Italy-IT.pdf
https://www.tortuga-econ.it/2020/10/19/la-rete-unica-divario-digitale-in-italia/
https://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/la-scure-antitrust-sulla-rete-unica-tutti-i-temi-sul-tavolo-tra-roma-e-bruxelles/
https://innovazione.gov.it/it/repubblica-digitale/
https://formiche.net/2020/09/barbanti-cdp-rete-unica-tim/
https://innovazione.gov.it/strategia-nazionale-per-le-competenze-digitali/

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